L’uomo è per definizione aristotelica un animale sociale, destinato alla vita comunitaria e al continuo confronto con la società e i suoi pari, ovvero gli “altri”. Il momento del confronto è una vera e propria sfida, attraverso la quale ognuno di noi inizia a mettersi in questione, a porsi domande su sé stesso e sulla sua adeguatezza rispetto al mondo.
L’origine di questo confronto avviene negli occhi, mezzo principale attraverso cui guardiamo il mondo, ed il mondo ci guarda. Sono proprio gli sguardi a metterci spesso in difficoltà, a farci sentire forse inadatti ed esposti. Gli sguardi ci permettono di scoprire ed essere scoperti allo stesso tempo, non senza causare sconforto. È un dilemma di cui si interessò Sartre e di cui cantano oggi gli Era Serenase, di cui analizzeremo ora i pensieri.
Lo sguardo oggettivante
Il filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre analizza il ruolo degli “sguardi” nei rapporti umani nell’opera “L’essere e il nulla“. Sartre parte dall’idea che l’essere umano, a differenza di tutti gli altri esseri viventi, sia vittima di una grande condanna, ovvero il dover dare senso alla propria vita. Difatti l’uomo è considerato un “per sé“, ovvero capace di concepire sé stesso, pensare a sé stesso e fare scelte. Al contrario un fiore, ad esempio, è considerato un “in sé“, in quanto esiste senza una coscienza di sé e nel suo percorso non cambierà destinazione: nascerà fiore in un prato e come tale morirà, o meglio appassirà, completamente incosciente.
L’uomo ha quindi la possibilità e la libertà di scegliere. Una libertà dannata, secondo Sartre, ma necessaria. Ognuno di noi è quindi una libertà, inevitabilmente in contatto con altre compari, che nel mondo si muovono e scelgono. L’interazione primordiale tra due libertà è inevitabilmente lo sguardo. Uno sguardo, secondo il filosofo, spietato, diretto e oggettivante, che mette a rischio la nostra stessa libertà. L’altro, l’altra libertà, configura una certa idea di noi, plasmandoci e definendoci, privandoci di una varietà di cose che siamo e potremmo essere, ma che non risultano nella configurazione altrui. La nostra libertà è impoverita e prosciugata dallo sguardo altrui e ciò porta ad un conflitto, al desiderio di conquistare l’altro, il suo sguardo, facendo sì che esso ci definisca in maniera positiva.
Occhi di spine
Il dramma dell’individuo a confronto con il mondo ed in particolare con i suoi simili, emerge nel nuovo singolo “Spine” del duo genovese Era Serenase. Gli sguardi sono paragonati a dolorose ed aggressive spine, pronte a pungerci ed invaderci. Una condanna che spinge il duo ad immaginare la bellezza di un mondo nel quale gli sguardi appuntiti e taglienti non possano tangerci e farci effetto: “Credo che sarebbe bello se/ Fossimo capaci/ Come da neonati/ A reggere gli sguardi senza preoccuparci che/ La punta delle spine/ Sia il punto di confine/Tra me e te.” Un ritornello che esprime il desiderio di poter vivere gli sguardi altrui con l’ingenuità ed il disinteresse di un neonato, ignaro della minaccia che l’altro possa rivelarsi. Il brano procede esprimendo il disagio personale del duo, che possiede in realtà un carattere universale “Quando guardo qualcuno negli occhi/ Mi sento in difetto“, poiché è questo, uno stato d’animo universalmente condiviso e provato almeno una volta da ognuno di noi. Il brano rivela inoltre l’essenza dello sguardo oggettivante presentato da Sartre, nel quale la ricerca di sé stessi entra in conflitto con la nostra definizione attraverso gli occhi altrui “Quindi cosa posso fare per essere me ma senza pensarci/ Se appena comincio a pensarci non sono io divento gli altri”.
Una nuova prospettiva
Apparentemente siamo destinati a vivere un vero e proprio dramma, caratterizzato da invadenti spine ed oggettivazione del nostro essere. Il confronto resta inevitabile e forse necessario. Cambiare il giudizio ed il modo in cui gli altri ci vedono è difficile, ma possiamo provare a cambiare il modo in cui noi guardiamo e concepiamo il mondo e fare si che non siano più giudiziose spine a circondarci, ma curiosi e umani occhi.