Una domanda sulla percentuale di omosessuali tra gli uomini inserita tra le domande del Progresstest ha scatenato numerose polemiche nell’università di Torino. Il consigliere regionale di Sinistra italiana: “Vogliamo sapere che senso ha chiedere a dei futuri medici la stima dell’omosessualità nell’uomo? Viene anche chiesta la stima della eterosessualità dell’uomo?”. Della stessa opinione è la ministra Fedeli: “Discriminatorio”
“Quale delle seguenti percentuali rappresenta la migliore stima del verificarsi dell’omosessualità nell’uomo?”
Così recita il famoso quesito che 33mila studenti di medicina hanno dovuto affrontare durante il progresstest. Le polemiche, all’università di Torino, sono state scatenate dal fatto che la domanda fosse inserita nelle sezioni diagnosi, genetica, malattie e comportamenti da tenere dinnanzi a certe malattie. Dure e contrastanti le posizioni di politici e associazioni in merito alla questione.
“Abbiamo avuto, in forma anonima, una delle domande del test Progress sottoposta a 33mila studenti di Medicina, somministrati per valutarne i progressi nell’apprendimento“, a sollevare la questione Marco Grimaldi, consigliere regionale di Sinistra Italiana, e di Cathy La Torre, avvocato, ex consigliera comunale di Sel a Bologna, attivista Lgbt, vicepresidente del Mit (Movimento identità transessuale). “Vogliamo sapere e lo pretendiamo: la comunità medica italiana ritiene ancora che l’omosessualità sia una malattia? Vogliamo sapere che senso ha chiedere a dei futuri medici la stima dell’omosessualità nell’uomo? Viene anche chiesta la stima della eterosessualità dell’uomo? Perché è bene ricordare che eterosessualità e omosessualità sono entrambe ‘varianti’ naturali del comportamento umano“. (fonte: Repubblica.it)
La ministra dell’istruzione si è prontamente espressa sull’accaduto: “È francamente incredibile e a dir poco inaccettabile che l’omosessualità sia stata inserita nella categoria delle malattie. Mi auguro che la Conferenza dei corsi di laurea in medicina provveda a eliminare dall’elenco delle domande del Progress test quel vergognoso quesito, che le risposte a esso date non siano tenute in considerazione ai fini della valutazione del progresso nell’apprendimento di studentesse e studenti, e che il responsabile di quanto accaduto sia adeguatamente sanzionato” E conclude: “Discriminazioni, totale mancanza di rispetto, simili livelli di ignoranza sono elementi con cui mai vorremmo venire a contatto, tanto meno nelle università italiane, che sono luoghi deputati non solo alla conoscenza, ma all’alta formazione, con tutto quel che questo significa in termini culturali e di civiltà“. (fonte: Repubblica.it)
La domanda da porsi è se in tale quesito venga considerata l’omosessualità come una patologia oppure no e se ci sia una motivazione scientifica per la quale un medico dovrebbe essere preparato circa il numero di persone omosessuali.
E’ solo nel 1973 che l’omosessualità è stata rimossa dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders dall’American Psychiatric Association, negando così la sua precedente definizione di omosessualità come disordine mentale. Il fatto che l’omosessualità non sia né una patologia, né una malattia dovrebbe essere un concetto assodato, ma visto i recenti e frequenti fatti di discriminazione e omofobia è il caso di ribadirlo. In biologia tutto ciò che esiste è naturale. Affermare che l’omosessualità è una malattia sarebbe come dire che l’ornitorinco, in quanto mammifero che fa le uova, o le api, che lasciano il problema riproduttivo all’esclusiva competenza della regina, sono da curare. Così rispondeva Sigmund Freud in una lettera del 1935, a una madre che gli aveva chiesto aiuto per il figlio gay: “Deduco dalla sua lettera che suo figlio è omosessuale. Sono molto colpito dal fatto che non usi mai questo termine nel darmi le informazioni su di lui. Posso chiedere perché lo evita? Non è un vizio, non è degradante; non può essere classificata come una malattia.”
Di posizione diametralmente opposta rispetto alla Fedeli è l’associazione Arcigay (la più grande associazione LGBT italiana). Il presidente della sezione di Bologna Vincenzo Branà ha dichiarato: “Pensare che l’omosessualità sia ritenuta una malattia per via di quel quesito è una cosa cretina, così si cancellano anni di battaglie.” Secondo lui è chiaro che non si tratti di patologia, ma di statistica. Ritiene che togliere quella domanda, come ha chiesto il ministro dell’istruzione, sarebbe una sconfitta “Perché rimetterebbe nell’invisibilità un tema per cui lottiamo da anni. Io voglio che un medico se la faccia quella domanda”. Conclude “La medicina non si occupa solo di malattie ma di salute, e l’omosessualità ha ricadute sulla salute” (fonte: Repubblica.it)
Oggi si parla spesso di “medicina di genere”, cioè di medicina attenta al sesso del paziente. E’ in corso una rivoluzione nell’ambito delle scienze mediche: il modo di approcciare alla diagnosi, la cura e perfino la prevenzione della malattia sta diventando sempre più specifica. Perché non si dovrebbe parlare di medicina attenta all’orientamento sessuale dei pazienti? Per annullare questa presunta discriminazione del quesito si rischia di ricadere in una contraddizione che lede il diritto alle cure delle persone omosessuali.
E’ certo che un errore o una svista , si spera per superficialità, sia stato commesso da qualche funzionario del Miur, tale domanda non doveva comparire in quella sezione. L’intenzione del test era puramente statistica e scientifica, è inevitabile però che la sensibilità di ciascuno ne dia un valore aggiunto. Indipendentemente da come ognuno giudichi il quesito il fatto conduce a un’interessante riflessione rispetto ai rapporti tra comunità scientifica e società. Perché se da una parte la comunità scientifica deve interagire con la società, dall’altra non deve farsi influenzare da perbenismi politici.
Indubbiamente c’è ancora tanto da fare per i diritti della comunità LGBT. Un mondo nel quale ciascuno sia veramente libero di essere e di amare, senza alcun tipo di discriminazione e una società libera da pregiudizi e preconcetti frutto dell’ignoranza sono ancora parecchio lontani. Perciò sarebbe certamente più utile se tutta questa indignazione espressa negli ultimi giorni fosse incanalata in qualcosa di più concreto. Mentre la classe politica del nostro paese si interroga indignatissima sul famoso quesito, che appare come il più grande dei problemi, il 19% degli omosessuali subisce discriminazioni sul posto di lavoro, il 13% vede respinta la propria candidatura a causa della propria identità sessuale (si sale al 45% per le persone trans), l’Italia continua ad essere il paese con il più alto tasso di discriminazione per orientamento sessuale in Europa e il tasso di suicidi globale nelle persone omosessuali rimane 40 volte superiore a quello degli eterosessuali. (Indagine realizzata da Arcigay nel 2011)
-pincorno