Quello che per noi è un viaggio in treno per altri fu una scoperta sensazionale.

Andersson ha scritto un saggio nel quale parla della bellezza del viaggiare sui binari, ed è ancora più bello scoprire la storia di quel gigante metallico.
Non un semplice treno
“Un grande mostro sbuffante che si avventa per valli e per gole, oltrepassando cascate, montagne nevose e strade campestri“. Così la celebre scrittrice di gialli Agatha Christie descrive i treni e la meraviglia che suscitano. Il mezzo di trasporto che meglio rappresenta la società e l’ambiente che ci circonda. Quelle rotaie parallele che puntano dritte verso la prossima meta, verso la fermata successiva.
J. Andersson ha provato a raccontare in un saggio intitolato ” Storia meravigliosa dei viaggi in treno” le emozioni che ha scoperto solcando migliaia di chilometri di ferrovia. La sua infanzia è legata a doppio filo con questo mondo, infatti sia i nonni che il padre lavoravano nel settore; da lì arrivano passione e fascino.
L’autore cita i numerosi modi di dire quotidiani che sono derivati proprio dall’ambito dei treni. Da “essere sul giusto binario” a “non perdere il treno” fino a “prendere l’ultimo treno“. Ben si presta a metafore grazie al suo essere sempre in movimento tranne che per qualche breve sosta. Ed è nella stazione che Andersson riconosce il fulcro di una nuova mentalità per gli uomini: il concetto di puntualità.
Grazie Stephenson!
Pensare che questa invenzione nasceva con lo scopo di trasportare merci. Nell’Inghilterra di inizio Ottocento la Rivoluzione Industriale aveva portato un incremento della produzione di materie prime, tanto che la maggior parte dei guadagni proveniva dall’esportazione. Ma c’era un problema. La reginetta del ballo era il carbone, che si estraeva nelle zone centrali del paese e doveva raggiungere le coste per poter essere trasportato via nave. Come fare questo breve ma decisivo passaggio di beni?
Inizialmente si costruivano delle strade ferrate: binari in ghisa sui quali transitavano carrelli trainati da cavalli. Già nel 1825 l’ingegnere George Stephenson realizza i primi modelli di locomotiva a vapore, che poi perfezionerà suo figlio Robert quattro anni dopo, ma su questo punto tornerò in seguito.
Per costruire le ferrovie di cui necessitava uno Stato in crescita occorrevano ingenti somme di denaro che la Corona non poteva permettersi. I fondi perciò arrivavano direttamente da investitori privati, in particolare industriali del cotone, del ferro e tutti coloro che avevano percepito l’utilità di tale progetto. Un valore positivo secondario, ma non per questo meno importante, fu l’impatto sul mondo del lavoro. Trovarono occupazione un numero elevato di operai, specialmente immigrati dall’Irlanda, vittima di una carestia causata da un parassita dei tuberi.

Si parte!
Sbuffava. E ad ogni sbuffo di vapore aumentavano le palpitazioni delle migliaia di persone accorse al grande evento. Su quel carrozzone di metallo aleggiavano speranze, attese e, perché no, preoccupazioni. Il treno inaugurale partiva proprio da Liverpool, destinazione Manchester. I dirigenti della linea avevano assegnato il progetto a Stephenson perché la sua locomotiva, la Rocket, fu l’unica a passare i test e riuscì a raggiungere la velocità di 48 chilometri orari, un ghepardo per l’epoca.
Liverpool-Manchester, la prima rotta andata e ritorno con doppio binario che trasportava merci e persone. Rivoluzionò la dieta dei centri urbani che da quel momento potevano mangiare cibi freschi raccolti poche ore prima. Portò a livelli altissimi comodità e rapidità negli spostamenti e nei viaggi. E fu così che la conseguenza della Rivoluzione Industriale diventò la causa di altre centinaia di cambiamenti.