Stanno lì, in piedi, abbracciati. La psichedelica ha preso le loro menti, facendole navigare lungo il flusso di note generate dalla Fender Stratocaster di Jimi Hendrix. Forse non lo sanno, ma quei due ragazzi devono essere riconoscenti a uno scienziato di Basilea, per il loro “viaggio”.

La storia è entrata ormai nell’ambito della leggenda: Woodstock, 1969. Si festeggiano proprio oggi le nozze d’oro tra il celebre concerto e la storia umana. Giornate intense, accompagnate dal già citato Jimi Hendrix, ma anche da Janis Joplin, da Joan Baez, gli Who, i Jefferson Airplane, Joe Cocker. Nomi che di sicuro ancora oggi sono impressi in moltissime menti. E che tutti, in fondo, debbono un minimo di riconoscenza a uno stempiato chimico nato a Baden, in Svizzera, nel 1906. Perchè è lui la vera mente che si cela dietro a una delle droghe più influenti del ventesimo secolo.
La scoperta
Successe un po’ per caso. Albert Hoffman si trovava nel suo centro di studi Sandoz, in Basilea, e si accingeva a maneggiare la claviceps purpurea, un tipo di segale molto comune ma in grado di sviluppare agenti alcaloidi un po’ strani e abbastanza tossici, tant’è vero che tale pianta veniva utilizzata come alimento dall’Oracolo di Delfi. Mentre, insomma, stava sintetizzando il componente alcaloide, Hoffman cominciò a sentirsi strano, intontito. Non riusciva a capire come mai mentre maneggiava l’LSD-25, le sue mani si facessero di cera, e tutto il mondo cominciasse a roteare attorno a lui. Preso dalla preoccupazione, usci dall’istituto per tornare a casa in bicicletta. Non fu mai chiaro cosa vide di tanto sconvolgente nel suo viaggio da convincerlo a continuare le sperimentazioni, ma uno dei “cartoni” intrisi di LSD che tanto giravano negli anni ’60 raffigurano il momento del suo ritorno in bicicletta in modo abbastanza verosimile.

Si giunge così ai mitici anni ’60. Il Vietnam, la New Hollywood, l’amore per l’oriente, eccetera eccetera. Grandi esponenti della cultura occidentale, dai Beatles ad Allen Ginsberg, da Hunter Thompson a Jimi Hendrix, da Aldous Huxley a Richard Feynman, sono totalmente accomunati da una parola: LSD. E non è certo una lista da niente quella appena elencata: Thompson scrisse “paura e delirio a Las Vegas”, Feynman fu un premio Nobel per la fisica nel 1965, Ginsberg ideò alcune delle poesie più celebri della storia americana. Tutto questo porta a formulare la domanda più discussa di quel tempo: può la droga essere correlata alla produzione artistica?
Questione di chimica
La risposta, chiaramente, è di portata soggettiva. Perchè se è vero che Schrödinger creò la sua celebre equazione dopo una serata a base di alcol e sesso con una misteriosa amante, è anche vero che gran parte dei musicisti famosi degli anni ’60-’70 morì prima dei trent’anni. La verità, come sempre, sta nel mezzo. Tornando al caso specifico dell’LSD, bisogna prima capire cosa accade durante il suo consumo.
Una volta ingerito l’acido, questo arriva direttamente al cervello, interagendo con i suoi neurotrasmettitori. A questo punto però avviene ciò per cui l’acido lisergico (così si chiama originariamente) diventò il Sacro Graal delle droghe: al posto che agire coi soli recettori addetti al rilascio di serotonina e adrenalina, l’LSD stimola anche le fonti cerebrali che custodiscono la dopamina, sostanza che si attiva durante il sonno e il sesso, e che fornisce una “ricompensa” all’organismo. Per esempio, la dopamina viene rilasciata pure quando si mangia o si beve. Proprio questa particolarità fa si che gli stati allucinatori dell’LSD siano tra i più potenti che si possano sperimentare.

E quindi? Bisogna drogarsi per poter fare arte? Non necessariamente. Sarebbe inutile citare coloro che, descrivendo gli effetti allucinatori dell’acido lisergico, spiegano come nuovi mondi si siano aperti in un attimo, e come ispirazioni quasi divine siano entrate nelle proprie menti. Ciò non toglie che l’LSD sia stata figlia del proprio tempo: un tempo di rivoluzioni, di proteste, di assoli di chitarra e risse da strada, di pop-art e fiori nei fucili. Perciò, se si dovesse pensare a Woodstock, a ciò che è stato e al tipo di sostanza che ha portato a quel concerto leggendario, Hoffman merita un sentito ringraziamento e riconoscimento. Non a caso, infatti, lo scienziato si è guadagnato il secondo posto nella classifica dei 100 personaggi più influenti del novecento, subito dopo Tim Berners Lee, l’inventore di internet. Quindi grazie Hoffman, grazie acido lisergico, e grazie Woodstock: che la fama e la leggenda possano da sole servire come ispirazione per gli artisti del futuro.
Meowlow