Migliaia di respiri che si spengono ogni giorno, migliaia di urla di dolore per le perdite senza nemmeno l’ultimo abbraccio. Migliaia di preghiere ad un Dio che ci chiediamo perchè resti muto.
In questa riflessione ci caliamo nei sentimenti di Giobbe che immerso nelle sofferenze della sua vita si domanda dove sia finito il suo Dio. Presi per mano da Tommaso d’Aquino torniamo a sentire la sua presenza viva e il vero senso dei miracoli.
Il Dio muto
Il Coronavirus continua ad essere il marchio più segnante del nostro presente e sicuramente queste cicatrici scavate caratterizzeranno anche il nostro futuro nel lungo periodo. In questi giorni non è raro sentire qualcuno dei nostri nonni che dice con aria sconsolata “Si sembra tornati in tempo di guerra”, questo per rimembrare la paura mordente e la fame imminente che si palesavano in quegli anni. Rimandati da queste parole ai tempi della seconda guerra mondiale ascoltiamo chi ha vissuto quegli anni e assistiamo al ripresentarsi di sensazioni, pensieri e paure che erano ormai lontane e che ora si sono ripresentate contro un nemico invisibile. Ecco che la paura si trasforma in angoscia, ecco che a ricoprirsi di questi tetri colori sono soprattutto le domande e le preghiere. Papa Francesco ci ricorda “Le certezze si sgretolano ma Dio ci dice di avere coraggio”. Parole di conforto e sostegno ai tanti fedeli che in tutto il mondo continuano a chiamare il loro Dio affinchè fermi tutto questo. Davanti a sofferenze così strazianti ci chiediamo perchè un Dio che si dice buono, amorevole e misericordioso non metta fine a questa epidemia globale. Allo stesso tempo ci chiediamo che senso abbia chiedergli di farlo se non lo ha già fatto, che senso abbia un Dio muto come dichiarava Hans Jonas davanti alle tragedie di Auschwitz. Possiamo ancora credere nei miracoli?
I miracoli in Tommaso d’Aquino
Un Dio che non sceglie di salvare le sue creature dalla sofferenza è un definibile maligno. Un Dio che non può salvare le sue creature dalla sofferenza è definibile impotente. Un Dio che sceglie di salvare le sue creature dalla sofferenza potrebbe essere definito mutevole e ignorante poichè non ha avuto la prescienza, la consapevolezza di anticipare la sofferenza che ha poi scelto di interrompere. Come risolvere queste domande pur mantenendo le proprietà divine che vengono riconosciute a Dio nella teologia cristiana?
Tommaso d’Aquino nella sua Somma Teologica, tra le migliaia di questioni che affronta troviamo anche il tema dei miracoli. Il miracolo è il concetto che in questa sede ci permette di discernere la possibilità divina di intervenire sulla natura, il miracolo è l’evento che ci permette di sentire la presenza divina nel qui e ora. Nella sua analisi Tommaso parte con il notare come l’intervenire divino sull’ordine naturale significherebbe intervenire su processi da lui stesso creati e perciò da lui stesso dipendenti, quasi a voler dire che Dio interverrebbe sulla sua stessa azione. Per sciogliere questo problema Tommaso distingue non solo le cause dagli effetti ma soprattutto gli ordini di cause che vanno a permeare la realtà dal momento della creazione in avanti. Dalla causa prima derivano le seconde e così via. Come seconda premessa Tommaso pone la distinzione tra le forze che vanno contro natura, come un uomo che tira in alto un sasso mentre la gravità lo spinge in basso, e le forze naturali che si incrociano con altre forze naturali, proprio come il moto ondoso che segue un movimento tutto suo pur diverso anch’esso dalla gravità che spinge l’acqua in basso.
Queste due premesse ci servono per capire la logica del miracolo, un evento straordinario dato per grazia divina che non contraddice l’atto di creazione, in quanto gli effetti sui quali va ad intervenire non sono dipendenti per necessità dalla causa prima ma dagli ordini di cause che l’hanno seguita. Inoltre il miracolo è da intendersi proprio come la metafora del moto ondoso, non una forza che sfida la natura ma un’amorevole mano che l’accompagna. Per quanto riguarda l’obiezione riguardo alla negazione della prescienza divina c’è da considerare il tempo come una categoria anch’essa inscritta nella creazione, questo ci fa capire che Dio risiede fuori dal tempo e che la sua prescienza ha davanti ogni sequenza di possibilità non ogni destino particolare. L’ultima specifica avrebbe bisogno di un discorso a parte ma può essere un iniziale spunto per il lettore riguardo il conciliare l’onnoscienza divina con il dono del libero arbitrio.
Il miracolo sgorga dalla grazia divina ma le creature devono porsi in condizione per poter attingere a questa sorgente. Da questa affermazione sarebbe logico pensare se non sia un Dio bambinesco e falsamente misericordioso per il fatto che non interviene miracolosamente anche quando si è spiritualmente lontani da lui. Un problema del genere è affrontabile solo allontanandoci dalla dicotomia tra bene e male per centrarci sulla visione di un Dio che è l’Essere, l’unico Essere in base al quale tutti gli enti sono. Ciò che non partecipa a Dio, all’Essere, non si può dire che sia, ecco il vero volto del male, il male è annegare nel nulla. Con questa impostazione possiamo capire come la grazia divina sia sempre viva e presente ma siamo noi a dover scegliere se essere o contraddire ciò che siamo.
Lasciamo fluire il miracolo
Spiegata la natura del miracolo, la presenza della grazia e il perchè dobbiamo disporci a riceverla, non ci resta che definire come dobbiamo disporci al riceverla. Per questo punto dobbiamo riferirci alla nostra stessa creazione, al fine di capire la reale materia della quale siamo fatti. Anche il tema della creazione ha sempre evidenziato possibili contraddizioni con le proprietà attribuite a Dio. Un Dio che sceglie di non creare non può definirsi amore perchè rimane chiuso in se stesso e quindi ama se stesso, un Dio che crea si può definire amore ma essendo l’unico Essere non può che emanare tutto l’essere inscrivendo se stesso in ogni sua creatura e generando un vero e proprio panteismo. La teologia cristiana cattolica può liberarsi da queste contraddizioni avendo alla base della sua fede un Dio non solo uno ma anche trino. La Trinità ci permette di poter concepire un Dio amore nel quale l’amore vive tra le processioni delle tre persone (Padre, Figlio e Spirito Santo). Ecco che non possiamo sezionare Dio ma possiamo evidenziare come ci sia un’essenza divina in senso proprio e una forma dell’essenza divina (o pericoresi) data dall’amore che intercorre tra le tre persone della Trinità. Nell’atto di creazione Dio comunica non l’essenza ma la forma dell’essenza; Dio è amore, sceglie (una scelta fuori dal tempo) di creare per amore e nel creare comunica amore. Seguendo il filo del discorso non ci resta che accettare che la materia di cui siamo fatti è proprio l’amore e se vogliamo partecipare all’Essere di Dio, essere coerenti con la nostra natura più profonda, non annegare nel nulla e così essere disposti a ricevere la grazia del miracolo non ci resta che vivere nell’amore. Il vivere nell’amore ci fa essere ciò che realmente siamo e ci fa scoprire anche il senso del miracolo straordinario, ovvero il far vivere il miracolo ordinario, il miracolo dell’amore semplice che noi stessi siamo tenuti a far vivere nella nostra quotidianità. Quasto è il modo di far fluire il miracolo dentro di noi anche nelle situazioni più dolorose come quella in cui ci troviamo oggi. Concludiamo con Tommaso che ci ricorda che “Miracolo” deriva da “Meraviglia”, viviamo nell’amore e la meraviglia vincerà sempre.