Un recente studio condotto presso l’università di Milano-Bicocca ha evidenziato un’iperattivazione di alcune aree cerebrali nelle persone che soffrono di obesità cronica. Quest’incremento dell’attività cerebrale è presente anche di fronte a stimoli visivi e quando si è sazi.
A lungo gli esperti hanno cercato le motivazioni di determinati comportamenti alimentari, soprattutto di quelli più malsani e disregolati. Nel seguente studio i ricercatori si sono concentrati soprattutto sulle persone obese e sui loro comportamenti alimentari. I risultati hanno dimostrato che in queste persone è presente un’iperattività di alcune aree cerebrali, ovvero di quelle coinvolte nell’elaborazione del gusto e nei meccanismi di ricompensa legati al cibo.
Cosa succede a livello cerebrale
Particolarmente attiva è l’area chiamata ‘striato ventrale‘ al gusto, soprattutto quando si è a digiuno. Le scoperte sono coerenti con la Reward Surfeit Hypothesis, la quale ipotizza l’esistenza di un eccesso di ricompensa quando queste persone mangiano. Inoltre è stato evidenziato che lo striato ventrale e dorsale si attiva più frequentemente nelle persone obese di fronte a stimoli visivi legati al cibo, perfino quando sono sazi. Anche questa scoperta è coerente con l’Incentive Sensitization Theory, cioè la teoria della sensibilizzazione agli incentivi.
Quest’ultima teoria in passato veniva utilizzata per spiegare il comportamento delle persone con problemi di dipendenza da uso di sostanze (come la droga). Oggi viene applicata anche al campo dell’alimentazione. Il comportamento dei tossicodipendenti a lungo andare altera la funzionalità del sistema dopaminergico meso-cortico-limbico, implicato nel rinforzo e nella gratificazione delle risposte. Più si assume droga (o cibo nel nostro caso), più questo circuito diventerà sensibile all’assunzione della sostanza d’abuso. Le sensazioni positive che seguono l’assunzione della sostanza fungeranno da incentivo, quindi la persona continuerà ad assumere la sostanza proprio perché la fa stare bene. Si entra così in un circolo vizioso dove per stare sempre meglio sarà necessario aumentare sempre di più la quantità da assumere. Inevitabilmente quindi si diventa più sensibili anche a tutti gli stimoli che richiamano, ricordano o sono collegati con la sostanza d’abuso.
Ipotesi non confermate
Esiste un’ipotesi contraria alla Reward Surfeit Hypothesis, ovvero la Reward Deficit Hypothesis secondo la quale sarebbe presente un deficit di ricompensa durante l’assunzione del cibo. Stando a questa seconda ipotesi quindi le persone obese assumerebbero un’elevata quantità di cibo perché quest’ultimo non li fa sentire sazi. Lo studio in questione però non ha trovato prove a sostegno di questa seconda ipotesi. Inoltre c’è una limitazione dello studio, legata alla modesta quantità di dati relativi ad un deficit del controllo inibitorio. Non è chiaro quindi se questo quadro malsano possa includere anche un deficit sistematico del controllo inibitorio, necessario per controllare l’impulso di mangiare smodatamente.
Alla luce di tutti questi dati, i ricercatori sono più propensi a spiegare l’obesità cronica seguendo la teoria della sensibilizzazione agli incentivi. Stimoli contestuali di qualsiasi natura (visiva, olfattiva, ecc.) legati anche in minima parte al cibo possono scatenare la voglia di abbuffarsi in quel preciso istante.
Lo studio
In passato si cercava una spiegazione a questo particolare fenomeno in tante teorie diverse. Per cercare di risolvere questo problema, i ricercatori hanno condotto una meta-analisi prendendo in considerazione l’attivazione cerebrale mentre il soggetto era affamato e la percezione del cibo negli individui obesi. Il tutto monitorato e registrato utilizzando tecniche di neuroimaging ed un particolare software creato proprio dall’università, il CluB (Cluster in the Brain). Quest’ultimo si basa sull’analisi della letteratura precedente, evidenziando studi relativi all’argomento che poi sono stati suddivisi in cluster (raggruppamenti) e riordinati tenendo conto di alcune procedure statistiche.
La scelta della meta-analisi nasce dalla possibilità di osservare fenomeni diversi che non possono essere verificati attraverso un unico esperimento a causa dell’elevato numero di variabili di cui tener conto. In questo caso i dati utilizzati riguardano la visione e la degustazione del cibo in soggetti obesi e normopeso, da sazi e a digiuno.
Implicazioni per la salute e per le terapie
Come già accennato in precedenza, il fenomeno in questione richiama moltissimo la tossicodipendenza perché i meccanismi d’azione sembrano essere gli stessi. Così come è difficile vincere una tossicodipendenza, lo è anche riuscire a regolarizzare il proprio comportamento alimentare. Per questo per le persone obese è molto difficile seguire una dieta.
La difficoltà maggiore però risiede negli stimoli ambientali che circondano queste persone. Con una tossicodipendenza è più semplice allontanarsi dalla droga e dal suo mondo, mentre per il cibo non è cosìmsemplice per ovvi motivi. È di gran lunga più probabile entrare in un ristorante o in un bar piuttosto che avere a che fare con persone vicine al mondo della droga. Se l’ambiente in cui queste persone vivono è un ambiente malsano, che non favorisce una sana e corretta alimentazione, sarà ancora più difficile riuscire a seguire una dieta. Saranno condizionate ed inevitabilmente riportate sulla cattiva strada.
Secondo gli autori dello studio quindi la strategia migliore è fondere approcci differenti per ciascun aspetto di questo quadro patologico, in particolare consigliano la terapia comportamentale e la terapia di gruppo per una ragione ben precisa. Nello specifico la terapia di gruppo fornisce un tipo differente di ricompensa, l’approvazione sociale, ma che agisce sugli stessi circuiti cerebrali. Per esempio le persone ottengono feedback positivi dagli altri quando riescono a raggiungere i loro obiettivi sul controllo del peso o sul seguire correttamente la dieta.
Martina Morello