Nella filosofia antica, per radice si intendeva il principio materiale di tutte le cose. Non a caso Empedocle aveva individuato i quattro elementi naturali, causa di tutto: terra, acqua, aria e fuoco. Nell’uso comune il termine si riferisce a tutto ciò che in qualche modo è connesso alle origini o legato alle cause di una situazione. A ciò si aggiunge la tradizionale rappresentazione genealogica dell’albero, dove le radici rappresentano i progenitori, i capostipiti o i genitori. Lo stesso Dante si serve del termine nella Commedia, quando nel canto XV del Paradiso il suo trisavolo Cacciaguida gli dice: “io fui la tua radice”. Ma quanto contano realmente, per ogni uomo, le proprie radici?
Alice Merton
La giovane cantante Alice Merton, nel suo successo “No Roots” afferma di non sentire di avere alcuna radice. L’artista, nata a Francoforte sul Meno nel 1993 da madre tedesca e padre irlandese, si è trasferita più volte con la propria famiglia a causa del lavoro del padre. Compie il primo spostamento all’età di tre mesi, e poco dopo seguono altri viaggi e trasferimenti. Diplomatasi a Monaco di Baviera in lingua tedesca, si trasferisce nel Regno Unito e poi in Germania, dove comincia gli studi musicali. Crescendo vive in Ontario, Connecticut, New York, Monaco di Baviera, Bournemouth, Londra, Berlino e altre città. È tedesca, ha cittadinanza canadese e britannica e avendo vissuto fra diversi luoghi e culture, ha più volte dichiarato di sentirsi legata a più paesi: da qui il titolo e il contenuto della canzone che ad oggi è il suo maggior successo.
“Ho costruito una casa e aspetto qualcuno che la rada al suolo, per poi preparare scatoloni, correndo via in direzione della prossima città. Poiché ho ricordi e viaggio come una zingara nella notte, e un migliaio di volte ho visto questa strada,migliaia di volte,non ho radici, ma la mia casa non era mai piantata a terra”
Pubblicato per la prima volta nel dicembre del 2016, il singolo “No Roots” in poche settimane ha scalato tutte le classifiche italiane. Alice Merton si aggiudica, grazie alla sua hit, l’European Border Breakers Award 2018 e da pochi giorni è disponibile il nuovo album “Mint”, che contiene, tra gli altri, anche il celebre singolo. A chi chiede all’autrice cosa pensi del grande successo riscontrato dalla sua canzone, lei risponde che “No Roots” potrebbe aver conquistato una parte di pubblico che si identifica nella sua storia, fino a essere diventata quasi un inno di chi non ha radici. E quanto alle sue sensazioni da ragazza che non si sente legata a nessun luogo, il sentimento sembra essere altalenante tra la gioia della libertà del potersi sentire a casa ovunque, e la tristezza, in qualche momento, dell’assenza di un posto in cui tornare. Un punto di riferimento è costituito dai genitori, ma non sente di avere radici in nessuno dei luoghi in cui ha vissuto, come forse esprime l’energico “NO!” che conclude la canzone.
La perdita delle radici nel romanzo di Cesare Pavese
Se c’è chi cresce senza radici e chi se ne distacca volontariamente, c’è anche chi, ad esse legato, le perde tristemente: è quello che emerge in una delle opere più significative di Cesare Pavese, “La Luna e i Falò”. L’opera, pubblicata nel 1950, è l’ultima ad essere scritta dall’autore prima del suicidio e da molti è considerata il suo capolavoro. Il protagonista è Anguilla, cresciuto da una povera famiglia di contadini nel casotto di Gaminella e che da giovanissimo aveva servito, alla cascina della Mora, presso il sor Matteo e le sue tre figlie. Emigrato in America e avendo fatto fortuna, torna a Santo Stefano Belbo, dove contro ogni sua aspettativa non trova nulla della sua fanciullezza. Ogni luogo è mutato, così come le persone che lì vivevano, e finisce per sentirsi come un estraneo nella sua terra d’origine, che quando era piccolo gli sembrava racchiudere l’intero mondo.
“Non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch’io possa dire ‘Ecco cos’ero prima di nascere’.”
Quello che doveva essere un viaggio di ritorno per la ricerca delle proprie radici, si trasforma nella scoperta di una profonda solitudine, e nella realizzazione della crudeltà di cui sono capaci gli uomini. Ciò che lega gli uomini e i secoli, come è suggerito dal titolo dell’opera, è la ciclicità del tempo, messa in evidenza dalle lunazioni, e la violenza, rappresentata dai falò: questi infatti risultano non essere solo vecchi riti di fecondità operati dai contadini, ma anche e soprattutto strumenti di sacrifici e di distruzione. Alla fine del romanzo Anguilla deciderà di ripartire, in solitudine e senza più speranze.
In uno dei passaggi più belli dell’opera, per Pavese le radici si configurano quasi come una necessità, come qualcosa di cui si avverte il bisogno per combattere la solitudine: “Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”
Può un uomo, nella libertà data dall’assenza di radici, trovare la sua felicità?
Chiara Maria Abate