Se credevate l’arte fosse un ambito puro e incorrotto, vi sbagliavate. Non faccio però dei miei lettori degli sprovveduti. So che anche voi avete colto il sapore, tra le righe dei vostri autori preferiti, di un qualcosa di perverso e tenuto nascosto a fatica. Ebbene, gran parte dei geni della letteratura, così come dell’arte in generale, erano scossi da violente e segrete passioni, che ne hanno influenzato l’opera e il pensiero. D’altra parte, che gli artisti abbiano in loro qualcosa di anormale, folle e deviato, non pare una grande sorpresa. Gli stereotipi dell’artista maledetto, del poeta dannato o dell’inguaribile romantico, accompagnano l’immagine che ciascuno di noi possiede dell’artista. Dalle nevrosi di Manzoni e Leopardi, alla pazzia di Tasso e Rimbaud, nulla ci pare poi tanto strano, nel bizzarro universo del genio creativo. Quello che però forse non sapete, è che anche senza scomodare i ben noti pervertiti della letteratura, si possono incontrare, tra i più insospettabili autori, queste e quelle parafilie, nascoste per bene tra metafore e allusioni.
Pervertiti dichiarati
Da un lato abbiamo gli autori la cui perversione non solo è manifesta, ma ne è tratto sfoggiato quasi con fierezza. Tra questi, Baudelaire e il suo masochismo, evidente in questi versi tratti da Il Vampiro: “O tu che come un colpo di coltello/ mi penetrasti nel cuore gemente;/ […]/ ad assiderti, […]/ sopra il mio spirito prono,/ facendone il tuo soglio e il tuo guanciale,/ essere infame a cui legato sono/ com’è legato ai ferri il criminale.” o lo scrittore americano C. Bukowsky, con ben più di una perversione, dal feticismo per le scarpe femminili alle tendenze sadomasochiste. Vi sono poi quei due autori, considerati tra i padri della letteratura erotica, che rappresentano per antonomasia il lato perverso della letteratura. Von Sacher-Masoch e il marchese De Sade, i quali danno tra l’altro il nome alle rispettive parafilie, appunto masochismo e sadismo.
Pascoli e Kafka, due visioni “deviate” della realtà
Vi sono poi tutti quegli autori, in cui la perversione sessuale si manifesta negli scritti in maniera velata, ma non invisibile all’occhio attento. Questo è il caso, ad esempio, di Pascoli. Tralasciando i presunti e non inverosimili rapporti incestuosi che il poeta intrattenne con la sorella Ida, deducibili da alcune sue lettere private, Pascoli ebbe ben più di uno scheletro nell’armadio. Come emerso dalla ricerca del neurologo Vittorino Andreoli, sintetizzata nel libro I Segreti di Casa Pascoli, la prematura morte del padre e a breve distanza quella della madre, scavarono un solco profondo nella psiche del giovane poeta, influenzandone anche, ovviamente, la sfera erotica. Infatti, a detta di Andreoli, l’improvvisa perdita dell’affetto materno, nel momento più delicato, ossia poco dopo la scomparsa del padre, avrebbe impedito al giovane Pascoli di superare correttamente il complesso di Edipo. Come risultante, il poeta avrebbe assunto, per quanto riguarda la sessualità, un atteggiamento infantile e regressivo, declinato in una sorta di voyeurismo. Questo è ben visibile nella poesia Gelsomino Notturno, di cui di seguito alcuni versi:
“È l’alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.”
Quel che rende questo componimento tanto singolare, è il distacco con il quale Pascoli osserva la scena descritta, ossia il concepimento, e questa enigmatica chiusa, che individua il ventre materno come “l’urna molle e segreta“, immagine tutt’altro che positiva. D’altronde abbiamo tutti ben nota la teoria del fanciullino di Pascoli. Alla luce di quanto detto da Andreoli, è difficile non credere che questo esito del pensiero pascoliano non derivi dalla situazione psicologica sopra descritta. Passando tra gli autori internazionali, mi viene impossibile non citare lo scrittore delle Metamorfosi. Non parlo del buon Ovidio, i cui gusti ci sono stati resi segreti dal tempo, ma del ben più recente Kafka. James Hawes, nel proprio libro, Excavating Kafka, riferisce di una presunta collezione di riviste pornografiche, appartenute all’autore, raffiguranti scene di sesso estremo e con soggetti davvero particolari. Golem, creature mostruose e donne dall’aspetto deforme, in parte umano in parte animale. Non legare questi particolari gusti pornografici alla fantasia deformante dell’occhio di Kafka, pare quantomeno ingenuo.
James Joyce come Von Sacher-Masoch, masochismo ed estetica
E se di esempi citabili ve ne sono ancora moltissimi ed insospettabili, mi limiterei a riportarne ancora solo uno, più che altro per il notevole parallelismo con uno degli autori di cui abbiamo già accennato in precedenza. James Joyce, autore di quell’epopea contemporanea intitolata Ulisse, era un masochista di prim’ordine. Le lettere erotiche scambiatesi con la moglie Nora, mettono in luce un aspetto molto intimo dell’autore, utile a noi per indagare quella corrispondenza tra perversione e pensiero letterario, che in questo articolo stiamo cercando di dimostrare. Le lettere dello scrittore irlandese non lasciano dubbi: “Vorrei che mi picchiassi e che perfino mi fustigassi. Non per scherzo, cara, ma sul serio, e a pelle nuda” e ancora, in un’altra lettera: “Io sono il tuo figliolino come ti ho detto e tu, la mia mammina, devi essere severa con me. Puniscimi quanto vuoi.” Tralasciando il puro pettegolezzo sui gusti sessuali dell’autore, quel che ci interessa è un particolare pensiero letterario, espresso in Ritratto dell’artista da giovane, meglio conosciuto come Dedalus.
L’opera, semiautobiografica, riferisce il pensiero di Joyce intorno all’arte. La votazione dell’artista alla bellezza è pari a quella del prete nei confronti della propria religione. La differenza tra i due atti di fede, sta nel diverso approccio al piacere: se l’arte se ne nutre, la religione lo ripudia. Esattamente come la religione, però, l’arte necessita di martiri (non a caso, il protagonista di Dedalus si chiama Stephen, come il primo martire cristiano), ossia individui disposti a soffrire e a sacrificarsi per la ricerca estetica. Lo stesso pensiero viene riportato, circa un secolo prima, nel romanzo La Venere in pelliccia di Von Sacher-Masoch, di cui abbiamo parlato brevemente a inizio articolo. L’autore, tramite la voce del protagonista Severin, suo alterego, riportava un pensiero del tutto simile a quello dello Stephen del Dedalus. L’artista sarebbe un soggetto sovrasensuale, ossia dotato di una sensualità spinta ai suoi estremi limiti, in grado di indagare la dimensione estetica passando dal piacere al dolore. Quel che l’artista deve cercare, in un sommo atto sacrificale, non è il piacere, ma la forte sensazione, veicolata indistintamente da piacere o sofferenza. Anzi è proprio il dolore, tramite l’estasi che comporta, simile a quella dei martiri cristiani, a immergere l’artista nella dimensione estetica. La donna, per Masoch, è colei che deve permettere il raggiungimento di questa estasi, divenendo quella dea della bellezza alla quale l’artista sacrifica tutto se stesso.
L’idealizzazione della donna in termini divini, compare del resto pure in Joyce. I conoscitori del Ritratto dell’artista da giovane, ricorderanno infatti molto bene l’episodio dell’incontro con la ragazza sulla spiaggia. Il giovane Stephen descrive la vista della bella fanciulla con accentuata sensualità, individuando in quell’incontro un’epifania, la manifestazione della Bellezza al quale decide di dedicare il resto della sua vita. Una descrizione molto simile è da rintracciarsi in La Venere in pelliccia, nel primo incontro che Severin ha con la propria Venere, Wanda. L’incontro, avvenuto al chiaro di Luna, davanti ad un vecchio tempietto, è descritto con un’accesa sensualità ed, ancora, con il ricorrente motivo della manifestazione divina. Wanda è appunto accomunata alla dea Venere e rappresenterebbe per il giovane poeta, protagonista del romanzo, la dea della Bellezza.
Psicopatologia della vita creativa
Risulta allora evidente, dai casi qui riportati, che spesso l’opera degli autori è stata influenzata, consciamente o meno, dal rapporto di questi con l’erotismo. A detta della psicoanalisi, non c’è del resto da stupirsi. L’impulso creativo deriverebbe infatti dalla sublimazione dell’impulso erotico, sarebbe cioè uno spostamento dell’energia rivolta alla sessualità, verso una meta non sessuale. Qualora l’istinto sublimato fosse un impulso deviato, ossia perverso, sarebbe logico rintracciare segni di questa perversione anche nella creatività che ne è la derivazione. Non va però creduto che queste ipotesi e considerazioni tolgano dignità alla creazione artistica. Le ragioni per le quali essa nasca e si sviluppi in questo o in quel modo, rimangono un affascinate mistero ancor lungi dall’essere spiegato. Del resto, non ci è necessario sapere quali fossero le nevrosi o i gusti sessuali di Leopardi per poter apprezzare i suoi capolavori.
Alessandro Porto