Le Grandi Dionisie.
Ci troviamo ad Atene, nel 438 a.C. Come ogni anno migliaia di spettatori in occasione delle Grandi Dionisie, dopo aver pagato i due oboli richiesti all’ingresso, hanno preso posto sulle gradinate marmoree del teatro di Dioniso: nel corso di tre giornate donne, uomini, bambini e schiavi assisteranno alla messa in scena di tre triadi tragiche. A queste seguiranno, per stemperare la tensione, tre drammi satireschi caratterizzati dalla presenza di un coro di goliardici e rubicondi satiri. Dieci giudici dovranno poi, al termine delle giornate, stabilire chi tra i tragediografi meriterà l’agognata vittoria. Quest’anno si sfideranno “a colpi di tragedia” Sofocle ed il più giovane Euripide, che in luogo del dramma satiresco porterà sulla scena ‘Alcesti’. La sua tragedia non verrà però particolarmente apprezzata dalla comunità greca. Perché?

La caduta dell’eroe.
Il pubblico greco si reca a teatro perché vuole veder rappresentate scene tratte dal mito e dalla storia nelle quali rispecchiare i più grandi temi della vita umana e della polis. Eroi valorosi in battaglia e saldi nelle virtù, personalità titaniche in contrasto col mondo e uomini puniti dagli dei per la loro tracotanza costellano la drammaturgia pre-Euripidea. Ma ecco che con il tragediografo di Salamina le carte in tavola si ribaltano. I grandi eroi del passato crollano, vinti da una fragilità tutta umana: il loro valore non sta più nella forza dell’animo ma nell’accettazione del proprio destino di morte. Nell’ ‘Alcesti‘ il vero eroe è una donna, che dimostra la sua forza scegliendo di morire per il suo amato. Il valore di Admeto, coprotagonista maschile, non risiede nella spada ma nel dolce amore che lo lega fedelmente ad Alcesti, sua sposa. Quelli presentati da Euripide sono personaggi “moderni”, incomprensibili agli occhi di una società arcaica come quella Ateniese.
‘Gocce di Memoria’.
Ai giorni nostri, a più di 2500 anni di distanza dalle rappresentazioni tragiche di Atene, può risultare complicato rispecchiarsi in determinate tematiche. Amori che vanno oltre la morte e legami eterni che congiungono due anime appaiono ai nostri occhi come temi piuttosto libreschi. Eppure c’è chi li ha sperimentati sulla sua pelle . Ci sono voci che hanno voluto cantare la loro esperienza d’amore eterno: tra queste spicca quella cristallina di Giorgia. Con ‘Gocce di Memoria’, la cantautrice italiana ha voluto omaggiare il ricordo del suo amore perduto, Alex Baroni, strappatole più di quindici anni fa dal prematuro avvento della signora con la falce. Nel suo eroico aggrapparsi all’appiglio della musica, Giorgia ha inconsapevolmente creato un meraviglioso parallelo millenario tra la sua fragilità e quella caratteristica dei personaggi Euripidei. Seguendo il percorso tracciato dal canto, addentriamoci nella drammaticità e nella dolcezza dell’ ‘Alcesti‘.

“Siamo anime in una storia incancellabile“.
Le Moire che tessono il destino hanno stabilito che una morte prematura colpisca Admeto, re di Fere. Il dio Apollo ottiene però che la vita di Admeto sia salva, a patto che un’altra anima scelga spontaneamente di scendere negli Inferi al suo posto. Per il re non c’è scelta: non può rifiutare un dono degli dei e contro la Necessità nulla può. Ma nessuno tra i suoi amici è disposto a rinunciare alla sua esistenza terrena. Persino suo padre e sua madre lo respingono. Soltanto la giovane Alcesti, sua moglie, accetterà la morte senza indugiare, nel nome dell’amore eterno che la lega ad Admeto. Il destino è scritto e nulla potrà mai cancellarlo: gli sposi saranno separati dalla morte.
“Siamo indivisibili, siamo uguali e fragili, e siamo già così lontani”.
Così Admeto, in lacrime, sorregge la sua amata durante l’agonia. E mentre Alcesti si trova tra le braccia del suo amore, vede sopraggiungere Caronte che imprecando le ordina di affrettarsi: comincia così il cammino della sposa lungo il sentiero della morte. Alcesti sa bene di non potersi sottrarre al suo destino: la morte alata la sta già trascinando giù, negli Inferi. Al pianto di Admeto si unisce quello dei due figli piccoli. Un attimo prima che gli occhi della sua sposa si chiudano per sempre, Admeto promette ad Alcesti che non si risposerà mai e che non imporrà ai piccoli una perfida matrigna. E così, versate molte lacrime, Alcesti spira.

“Con il gelo nella mente sto correndo verso te”.
Admeto si lascia così inghiottire da una voragine di dolore. Bandisce per sempre la musica e la festa dalle stanze ormai vuote del suo palazzo. Promette che farà scolpire una statua che raffiguri Alcesti da stringere nella notte, attendendo soltanto che lei lo visiti in sogno. Ordina ai figli di seppellirlo, una volta morto, nella stessa bara di cedro del suo amore per giacere accanto a lei per l’eternità. La vita di Admeto è congelata, sospesa nell’attesa della Morte, la sola porta d’accesso alla dimora di sua moglie.

“Questo tempo ci ha tradito”.
L’ira di Admeto si rivolge subito contro i suoi genitori: loro, anziani, non hanno accettato di morire gloriosamente per il loro figlio, accecati da una concezione strettamente fisica della vita. Il re accusa suo padre di essere un egoista: per salvare la manciata di anni che gli restavano da vivere, ha impedito che si compisse il sogno di una vita felice di suo figlio e della sua sposa. Ha avuto tutto dalla sua lunga vita: una moglie, una reggia e un figlio devotissimo, che ha perso per sempre a causa della sua viltà. Di rimando, il vecchio Ferete accusa Admeto di aver lottato spudoratamente contro la morte permettendo che una giovane pazza prendesse il suo posto: è un assassino. Dopo aver augurato a suo padre un destino infelice, Admeto si appresta a seppellire sua moglie.
“Dimmi come posso fare per raggiungerti adesso”.
Ma ecco che, quando tutto sembra perduto, giunge alla reggia di Fere il rubicondo Eracle. Nonostante il lutto, Admeto lo ospita tenendogli nascosta l’identità della morta. Eracle, venuto a sapere che la defunta è proprio Alcesti, per ringraziare Admeto della sua ospitalità decide di scendere negli Inferi per strappare la giovane alla morsa di Thanatos. Di ritorno sulla terra, l’eroe reca con sé una fanciulla velata e prega Admeto di prendersene cura durante la sua assenza. Il re, memore della promessa fatta ad Alcesti, rifiuta fermamente il dono di Eracle. Dopo le numerose insistenze di quest’ultimo, Admeto scopre il capo della giovane, e constata con sua immensa gioia che si tratta della sua amata di ritorno dal regno dei morti.

Subito Admeto ordina che la musica torni a riempire le stanze del palazzo e che Fere si vesta a festa: ogni altare deve fumare in onore degli dei. L’amore della sua vita è tornato, la felicità riempirà per sempre i loro cuori: i conclude così la “tragicommedia“, e qui si ferma il canto di Giorgia.
Per sempre.
L’amore del quale la donna si fa portavoce non conosce alcun limite. È un amore eterno, più forte della morte, che va al di là del poco tempo che ci è dato di vivere su questa terra. C’è qualcosa di più in noi: c’è un’anima legata indissolubilmente al nostro corpo. Un’anima che un giorno si unirà in una danza di gioia senza fine alle anime dei suoi cari.

Daniela Ruvolo.