Nonostante il valore benefico universalmente riconosciuto alla masturbazione da parte degli psicologi – per i quali essa si dimostra indicativa di una corretta salute e funzione sessuale, di buona autostima, nonché un “toccasana” per aumentare la positività nelle proprie esperienze intime – questa pratica resta tutt’oggi un tabù, soprattutto se a praticarla è il cosiddetto “gentil sesso”.
Ancora oggi i benefici dell’autoerotismo – che variano dall’empowerment sessuale alla costruzione di relazioni sessuali più soddisfacenti (tanto da essere raccomandato dai sessuologi) – finiscono inevitabilmente per essere oscurati dalla macchia della vergogna, dello stigma sociale e del “decoro”. Ovviamente, solo sulla carta, dato che a parlare di come stanno realmente le cose ci pensano i numeri: negli USA un significativo 58% -84% di donne ha infatti ammesso di aver provato la masturbazione nel corso della propria vita, e tra queste il 13% ha ammesso di farlo abitualmente anche due volte a settimana.
Sexual Script Theory: masturbazione e società
Ad incastonare in una dimensione puramente sociale questo comportamento è stata la Sexual Script Theory formulata da Simon nel 1973, prima a sostenere che l’autoerotismo – come la maggior parte dei comportamenti erotici – sia determinato socialmente. La nascita di precise “sceneggiature sessuali” è, secondo l’autore, da imputarsi all’antica disapprovazione di importanti religioni occidentali come il cristianesimo, che negli anni hanno contribuito al tabù che circonda la masturbazione, etichettandola come “innaturale e contraria agli scopi biblici del sesso”. Ben diversi i “contro” formulati nel diciassettesimo e diciottesimo secolo, durante i quali la masturbazione era ritenuta una fonte di malattia degna di istituzionalizzazione, nonché contributo (secondo diversi psicologi, tra cui Freud) all’insorgere della nevrosi.
Questa radicata eredità di preconcetti e “script” sessuali sarebbero così arrivati fino a noi in modo ancora nuovo, pur mantenendo buona parte del “bagaglio” creato nei secoli passati: ancora oggi, il “copione” degli uomini eterosessuali è quello di essere sessualmente aggressivi e dominanti, mentre alle donne eterosessuali spetta il compito di essere sottomesse, sessualmente disinteressate, ed assidue ricercatrici di relazioni romantiche durature. Sempre secondo questi “script”, le donne sarebbero quindi “desiderate ma non desiderose di sesso”, mentre gli uomini “non desiderati ma desiderosi di sesso”.
Sebbene essi si riferiscano a rapporti di coppia, i rischi dell’aderenza a questi ruoli possono divenire individuali, da un lato spingendo l’uomo a sentirsi impotente circa le proprie interazioni sessuali o costretto a rispettare lo stereotipo del machismo, e dall’altro convincendo la donna a silenziare il proprio desiderio di soddisfazione sessuale.
Ad insinuarsi nell’ambito dell’autoerotismo è quindi anche il cosiddetto SDS. Prima di cercare nervosamente su Wikipedia, tranquillizzatevi: non si tratta di una malattia, ma piuttosto l’acronimo di Sexual Double Standard, definito come la tendenza delle donne a essere giudicate più duramente rispetto agli uomini per un comportamento sessuale comparabile. La presenza di tale costrutto è evidente in moltissime situazioni quotidiane: tra i giovani adulti che praticano il sesso occasionale, gli uomini sono giudicati più morali delle loro coetanee donne, sulle quali le norme sociali si riflettono molto più fortemente. Analogamente, negli scenari che descrivono uomini e donne impegnati in un atto sessuale a tre, le donne vengono giudicate in modo più severo dei partner uomini, indipendentemente dal sesso degli altri ipotetici partecipanti al “threesome”. Lo stesso vale per la masturbazione: totalmente accettata nel caso degli uomini, e vista invece come qualcosa di inappropriato (dai maschi tanto quanto dalle femmine stesse) se praticata regolarmente da una donna.
Scuole: sì all’erotismo, no all’autoerotismo
Negli ultimi anni, numerosi sessuologi e psicologi in tutto il mondo si sono esposti in prima linea a favore di un cambiamento nel modo in cui questo comportamento viene visto e trattato sia nell’educazione sessuale scolastica che – in una visione a più ampio respiro – nella società allargata. Invece di essere considerata con lo sguardo stigmatizzante delle prospettive tradizionali, a detta dei professionisti la masturbazione dovrebbe essere considerata un’attività comune a tutti esseri umani, non negativa o “sporca” ma piuttosto naturale e sana. Eppure, in molti casi, queste posizioni progressiste hanno addirittura portato alcuni “big” del campo a rovinare la propria carriera: è questo il caso del Surgeon General degli Stati Uniti, Jocelyn Elders, che nel 1994 fu costretta a dimettersi a seguito di un suo discorso che suggeriva come “la sana base della masturbazione” andasse insegnata correttamente nelle scuole.
Sex and the City: il sesso per le donne, raccontato dalle donne
Tra le prime icone mediatiche a scardinare questa visione della sessualità femminile e dell’autoerotismo ci fu la serie televisiva “Sex And The City”, in cui la libertina protagonista Sarah Jessica Parker dava ai telespettatori il benvenuto “nell’era dell’anti-innocenza” e si preparava ad inaugurare una vera e propria rivoluzione “in rosa”. Grazie al sarcasmo, la naturalezza con cui venivano affrontati anche i più piccoli e comuni tabù, e la quasi totale assenza di censure, il telefilm targato HBO ha così aperto lo sguardo su un nuovo modo di essere donna, molto simile a ciò che prima era considerata una prerogativa solo maschile. Dopo vent’anni, ormai le quattro protagoniste della Grande Mela lasciano il posto a nuove ed altrettanto “senza veli” serie tv dello stesso tipo – basti pensare al nuovo prodotto Netflix, “Sex Education” – eppure il loro ruolo ha segnato letteralmente il passaggio di un’epoca.
La relazione complicata tra le donne e il loro corpo
Eppure, sembra che la “filosofia fai-da-te alla Samantha Jones” non sia ancora accettata da tutti. Alcuni studi di Kaestle e Allen rivelano, infatti, che le donne imparano a conoscere i propri corpi (e, in particolare, i propri genitali) quasi esclusivamente nel primo rapporto con un partner maschile, compresa la corretta terminologia utilizzata per descrivere ed etichettare specifiche parti del proprio corpo. Gli stessi risultati furono rinvenuti anche da Hogarth e Ingham, dalla cui ricerca emerse come molte donne pensassero che l’attività sessuale dovesse necessariamente svolgersi all’interno delle interazioni diadiche e mai “in solitaria”.
Un peccato, visto che nei rapporti sessuali di coppia, in media solo il 29% delle donne raggiunge l’orgasmo, contro il 75% degli uomini.
Francesca Amato