Lucky, immigrato fortunato: intervista a chi si è integrato, nonostante la diffidenza italiana

Siamo andati a prenderlo sotto casa, in uno dei quartieri dalla peggiore fama di Torino, per potervi raccontare la sua storia. Si presenta a noi come “Lucky”, che con l’accento nigeriano sembra “Loki”. Ci racconta di come è venuto in Italia, di come sia riuscito ad emanciparsi e integrarsi abbastanza bene, di come spera di trovare lavoro e nel frattempo continuare a fare del bene per il prossimo. Ci racconta del suo amore per un Paese che, lo sa, lo guarda con odio e diffidenza.

Lucky
Lucky è arrivato a Lampedusa due anni e mezzo fa, su un barcone, dopo un viaggio in notturna

Lo abbiamo incrociato mentre puliva un parco vicino a Corso Trapani, a Torino. L’abbiamo fermato, gli abbiamo dato quei pochi spiccioli che avevamo e lui ci ha ringraziato, con un sorriso genuino e infreddolito. Incuriositi, abbiamo chiesto cosa ci facesse lì. Quando ha cominciato a raccontarci la sua storia, abbiamo preferito vederlo più tardi per parlare davanti a qualcosa di caldo e con più tranquillità. Ed è così che l’abbiamo portato in un bar nella zona universitaria, e cominciato una sorta di intervista a Lucky, un ragazzo Nigeriano di 29 anni, arrivato in Italia 2 anni e mezzo fa.

L’arrivo di Lucky in Italia

La nostra intervista incomincia, stupidamente, in Italiano. Dopo aver notato la sua difficoltà in una lingua che ancora non padroneggiava, abbiamo scoperto parlasse fluentemente l’inglese, e abbiamo comunicato così per il resto del tempo. La prima domanda che gli poniamo è come e perché sia voluto venire in Italia. La sua risposta è scarna, non scende eccessivamente nei dettagli. Ci racconta di un viaggio per mare, di notte, di circa 6 ore. 200€ per la tratta, dato che “dalla Nigeria costa di meno“. Smorza la tensione ridendo, ma ci confessa una profonda paura per le condizioni del viaggio: in 110, su una “barca grande“, con mare mosso, il terrore di finire fuori bordo e non mettere più piede sulla terraferma. La scelta dell’Italia è stata relativamente casuale: il paese lo ispirava, e una volta arrivato ha capito di aver fatto la scelta giusta. Dopo esser rimasto 14 giorni a Lampedusa e altri 8 in Sicilia (in una meta non meglio definita) finisce in una cooperativa e poi arriva direttamente a Torino.

Lucky e la sorella
Lucky con la sorella, in Nigeria. Quando è partito ha dovuto lasciarla a casa, dove si è sposata. Spera, un giorno, di potersi permettere di tornare a trovarla

Le motivazioni della partenza

Sul perché abbia scelto di partire, Lucky è molto schietto:”Non sono partito per via della fame, per ambizioni o altro. Sono scappato dalla guerra, dai continui crimini, da Boko Haram, da una vita passata nella paura”. E qua si riscontra la prima differenza tra lo stereotipo e la realtà. Lucky non è assolutamente venuto qua per ambizioni e ricerca di ricchezze, tanto che ora come ora, vorrebbe soltanto trovare un lavoro in una fabbrica qualsiasi. Solo qualcosa di stabile, che gli permetta di arrivare a fine mese, nulla di più. “Per avere dei buoni sogni devi avere anche i soldi per permettertelo; ora vorrei solo trovare lavoro e non preoccuparmi più di come arrivare a fine mese“.

Le cooperative

Appena arrivato, Lucky è finito all’interno di una cooperativa. Per quanto inizialmente si trovasse bene e non avesse eccessivi problemi, un crescente malumore generale l’ha portato ad allontanarsi dalla stessa e arrangiarsi, per come potesse, da solo. Sfatiamo una volta per tutte il mito dei 35€ al giorno ai migranti: questo è il fondo che le cooperative ricevono ogni giorno per ogni immigrato. Ricordiamo anche che questi soldi arrivano in parte da fondi europei, e che l’Europa permette all’Italia di scorporare dal bilancio statale i fondi destinati all’immigrazione. Lucky, durante la sua permanenza nella cooperativa, riceveva 2,50€ al giorno e vitto e alloggio.

Lucky a scuola
Lucky oltretutto ha ricevuto un’istruzione elementare di base durante il suo soggiorno all’interno della cooperativa. Ma vorrebbe anche ricevere l’istruzione corrispondente alle nostre “medie”, non appena troverà i fondi necessari

L’attività di Lucky qua in Italia

Lucky, al contrario di altri immigrati, si è allontanato dalla cooperativa e ha trovato un appartamento in cui soggiornare. Non si limita però a chiedere l’elemosina. Abbiamo incontrato Lucky mentre puliva un parco, mentre agli angoli del parco stesso c’erano dei cartelli che recitavano:”Sono un immigrato che tenta di integrarsi nella vostra società, ma che non riesce a trovare lavoro. Mi sono offerto di ripulire il giardino, se volete lasciarmi un’offerta anche solo di 50 centesimi sarà ben accetta”. Quando abbiamo chiesto delucidazioni, Lucky ci ha confidato che pensava che per integrarsi dovesse fare la sua parte all’interno della società entro la quale cercava di inscriversi. Voleva fare del bene, convinto che aiutare il prossimo e mantenere ordine e pulizia fossero dei buoni presupposti da cui partire. Non è il solo: insieme a lui ci sono 3 amici (immigrati partiti insieme a lui in cerca di una vita migliore).

Cosa riserva il futuro per Lucky?

Quando gli chiediamo cosa si aspetti dal futuro o quali speranze abbia, Lucky torna a dire che spera solo di riuscire a trovare un lavoro. Gli abbiamo chiesto se fosse preoccupato dalle nuove politiche di Salvini, ma ha risposto di essere tranquillo dato che è un immigrato regolare, e per questo pensa di non avere nulla da temere. Anche se, a metà intervista, ci ha chiesto con aria maggiormente allarmata perché ci interessassimo così tanto al suo caso e ai dettagli della sua vita, una volta sbarcato in Italia. In particolare, quando gli abbiamo chiesto della sua vita da clandestino e abbiamo accennato a Salvini.

Un messaggio per gli Italiani

A fine intervista, ci siamo riservati di chiedergli in tono scherzoso se avesse un qualche “message for the Italians that will read this article”. Lucky però non si è lasciato contagiare dal nostro umorismo, e ha risposto in maniera seria e affranta: “Quello che penso è che possono anche leggere questo, ma non penso crederanno a niente di quello che c’è scritto. Penso non crederanno a nulla“. E questo è stato l’unico momento di tutto il tempo passato insieme in cui Lucky abbia perso il sorriso che, con noi, l’ha contraddistinto. E l’ha tolto anche agli autori di questo articolo. La realizzazione di vivere in un paese disseminato di diffidenza e odio a matrice stereotipica, che si allontana dalla realtà per cercare conferme delle sue convinzioni e senza sguardo critico alle proprie supposizioni, non può che demoralizzare tanto gli immigrati quanto gli Italiani. Un’Italia segnata da un sottile e subdolo razzismo, poco evidente ma ad alto impatto. Si spera invece che, per quanto pochi possano essere, alcuni possano vedere la dura vita degli immigrati per com’è veramente, anche grazie a questo tipo di testimonianze. Che il livello di consapevolezza e di conoscenza della realtà che ci circonda si alzi sempre di più, invece di cedere a visioni semplicistiche e rassicuranti del mondo.

Matteo Sesia

 

Si ringrazia per la collaborazione nella stesura e nella programmazione di questo articolo anche Francesco Moletti

 

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