A seguito della decisione del ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca della Repubblica Italiana in carica dal 2018, Marco Bussetti, di sopprimere la traccia storica dalla prima prova dell’esame di maturità, giustificata da una percentuale insignificante di studenti che la scelgono, ci si interroga sui rischi che tale scelta comporta. Numerose le proteste da parte dei professori di storia e filosofia, degli storici e degli storiografi, i quali non solo lamentano l’atto in sé, ma lo inseriscono in un contesto processuale storico che attraversa più governi, i quali hanno costantemente affossato l’importanza dello studio e della cultura, ed in particolare con l’abbandono e l’indebolimento delle discipline umanistiche, le quali in grado di poter offrire uno sguardo critico realistico della realtà, in quanto fortemente pervase da quell’elemento di soggettività che viene così soppiantato dall’imparzialità oggettivistica della scienza.
La storia: plasmatrice di identità
L’uomo è un essere storico, immerso e situato nel tempo e nello spazio: noi esistiamo qui e adesso. Heidegger sviluppò particolarmente il concetto di Da-sein, l’esser-ci, laddove il ci sta a simboleggiare uno spazio ideale tra il qui e il lì: questo esser-ci, questo ente privilegiato è l’uomo, che in quanto essere gettato nel mondo, è innanzitutto situato in un hic et nunc. L’uomo è dunque per necessità sempre connesso ad una temporalità, ed è perciò solamente nella storia che può realizzarsi l’Essere.
La storia è identità, in quanto la fonda, la plasma: noi siamo ciò che siamo innanzitutto per ciò che siamo stati, perché l’uomo è situato in un divenire incessante nel quale le esperienze scandiscono l’unità della nostra soggettività. La storia però, in quanto tale, concerne la totalità del reale e degli eventi, non solamente i singoli individui. Per questo così come fonda l’identità del soggetto, fonda anche l’identità dei popoli, degli Stati, di ogni essere storico che diviene nella temporalità.
Uno studio sempre più superficiale della storia, il poco tempo riservato alle lezioni nelle scuole, e i continui tentativi di ridimensionamento e riscrittura dei manuali di storia, rischia di intaccare ancor di più le radici del nostro Paese e della nostra cultura. Un’Italia senza Risorgimento non può esser compresa. Un’Italia senza il fascismo, la Resistenza, il terrorismo, la mafia, sarebbe un Paese indecifrabile.
La storia redime dall’eterno presente nel quale siamo
Inserendosi nella protesta contro le decisioni del Miur contro la materia storica Giuseppe Laterza parla di presentismo in un’intervista per Repubblica di Simonetta Fiori del 01/03/2019 constatando come “tutto ormai si risolve nell’annuncio, nell’immediatezza della dichiarazione. La storia ti aiuta a comprendere, a mettere in relazione cose diverse. Sopprimendola si diventa schiavi inconsapevoli“.[1]
La storia diventa mezzo di redenzione per uscire da quell’eterno presente che schiaccia l’individuo, ormai situato in una contemporaneità onnipervasiva, in cui esiste unicamente il presente, l’attimo, l’istante, in cui si dimentica il passato e si smette di pensare al futuro. L’immediatezza e la precarietà dell’esistenza alle quali l’uomo post-moderno è soggiogato lo sciolgono da ogni vincolo e legame, incastrandolo in un piano esistenziale privo di dimensioni, in cui il primo ad esser sacrificato e vanificato è il progetto, laddove esso è l’unico mezzo di realizzazione tanto individuale quanto sovraindividuale e dunque nazionale.
La storia come terreno di verifica e comprensione del presente
Lo studio della storia diviene necessario per la comprensione delle nostre radici, dei nostri errori, delle nostre passioni e opinioni, del nostro orientamento progettuale. La storia come terreno di verifica delle posizioni filosofiche e politiche, come tribunale della ragione, intesa come facoltà di pensiero, che collauda e sperimenta nel suolo non più ideale ma reale della nostra esistenza. Per questo dimenticare il passato, prima ancora di esporci ad erronee decisioni e situazioni già vissute, e dunque ad eventuali derive, e già confutate dalla realtà storica, è innanzitutto dimenticare ciò che siamo, è obliare la nostra identità.
Analizzando l’evoluzione sociale e storica possiamo comprendere il presente, poiché tutto segue un filo storico ben preciso. La storia è dunque una bussola che ci orienta, grazie alla quale comprendiamo dove stiamo andando. E in questo contesto è la storia contemporanea che in prima linea deve venir studiata, nella misura in cui in essa si ritrovano le radici del mondo come lo è oggi. Quella storia contemporanea che inizia dalla Rivoluzione del 1789 passando per il Risorgimento, le due Grandi guerre, la Guerra fredda, il ’68, il terrorismo, le crisi medio-orientali, fino ai giorni nostri. E ciò è valido in maggior misura per l’Italia, paese giovane, che trova la sua unità proprio nel corso dell’Ottocento e la completerà territorialmente con la prima guerra mondiale, vista da molti come una sorta di quarta guerra d’indipendenza.
L’importanza della conoscenza storica, in particolare quella contemporanea, è ribadita da Augusto Del Noce in una lettera a Ernst Nolte, laddove “senza la chiave filosofica la storia contemporanea non si intende; e la reciproca è vera perché senza approfondimento della storia contemporanea non si può fare filosofia. Mai come oggi appare chiaro il senso della famosa frase di Hegel, che la filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero”[2].
Leonardo Mori
[1] https://www.repubblica.it/scuola/2019/03/01/news/laterza_storia-220472631/
[2] Lettera di A. Del Noce a E. Nolte, 20 ottobre 1984, in Carteggio Nolte-Del Noce, “Storia contemporanea”, 5 (ottobre 1993), p. 757