Matteo Salvini torna a parlare di leva obbligatoria. Già cavallo di battaglia della passata campagna elettorale leghista per le scorse elezioni parlamentari, la cosiddetta naja ritorna al centro del dibattito politico. Secondo il leader del partito, nonché attuale Ministro dell’Interno, la reintroduzione della leva obbligatoria sarebbe fondamentale per la formazione dei giovani italiani, in quanto impartirebbe a questi ultimi “un po’ di educazione che mamma e papà non sono in grado di insegnarti” (fonte: ANSA). Questo è quanto dichiarato dal ministro durante un comizio a Lesina, in Puglia, per l’inaugurazione di una nuova sede del partito.
Sebbene il fine sia nobile, ovvero l’educare i giovani all’autonomia e al rispetto per l’autorità, occorre chiedersi se la reintroduzione della leva obbligatoria sia la soluzione più efficiente a tale scopo o se soluzioni migliori possono essere trovate. Senza entrare nel dibattito ideologico, una prima considerazione può essere fatta tenendo conto dei risvolti sull’occupazione giovanile. Giovani neolaureati e diplomati sarebbero costretti a ritardare di un anno (o poco meno) il loro ingresso sul mercato del lavoro o, per dirla in termini più economici, dovrebbero rinunciare all’opportunità di un anno di lavoro retribuito per scontare il periodo di coscrizione. Tale concetto è noto con il termine di ‘costo-opportunità’: può l’appagamento patriottico e ‘l’educazione’ ricevuta in caserma colmare il mancato guadagno e la perdita di un anno di carriera professionale?
Il concetto di leva obbligatoria è molto antico e, in Italia, fu ufficialmente applicato per la prima volta negli stati pre-unitari in età napoleonica. All’epoca, il servizio non si prefiggeva tanto di educare i giovani, quanto di fornire ‘carne da macello’ per le campagne di guerra che imperversavano il continente europeo. La leva sopravvisse all’unità e al fascismo e continuò ad essere applicata fino ai primi anni 2000, quando venne definitivamente abolita dalla legge 226/2004. La leva non aveva alcun senso di esistere: sempre più persone si dichiaravano obiettori di coscienza o ne chiedevano l’esenzione per motivi fisici, di studio o religiosi. Inoltre, la durata della naja era stata notevolmente ridotta nel corso del tempo: gli ultimi giovani ad esserne soggetti hanno dovuto spendere solo 10 mesi di coscrizione. La leva obbligatoria è ancora viva in alcuni paesi del blocco UE: in Grecia, ad esempio, i giovani sono costretti a prestare servizio militare per 6 mesi dopo la fine delle scuole superiori o dell’istruzione universitaria.
Il ritorno alla leva obbligatoria sarebbe un beneficio o un peso per un giovane del XXI secolo? La risposta non è semplice. I giovani con un diploma di scuola media inferiore o superiore che non hanno intenzione di perseguire studi accademici o professionali potrebbero trarne giovamento. Infatti, la naja potrebbe essere vista come l’occasione per ricevere un primo sicuro stipendio. Il giovane potrebbe così mettere da parte un primo tesoretto con il quale potrà sostentarsi mentre è alla ricerca di un lavoro da civile una volta finito il periodo di leva. Il costo-opportunità è molto ridotto in questo caso: l’anno di naja andrebbe a sostituire gli anni di scuola non fatti, pertanto non ci sarebbe nessun ritardo per l’ingresso nel mondo del lavoro.
Il discorso è differente nel caso di giovani con diploma di scuola media superiore (presso istituti tecnici o professionali) o neolaureati. Per questa categoria di persone, la velocità di ingresso nel mondo del lavoro è un fattore fondamentale per il successo in ambito professionale. I datori di lavoro cercano sempre di più persone fresche di diploma: ad esempio nei colloqui di lavoro ha più rilevanza l’essersi laureato in corso che il voto finale in centodecimi. Al giorno d’oggi molti laureati e professionisti ottengono un lavoro addirittura qualche mese prima dal conseguimento del diploma, ad esempio attraverso la partecipazione a stage concordati tra l’ateneo e i datori di lavoro. Non è raro vedere ragazzi e ragazze già in posizioni junior presso aziende o enti pubblici, ma che nel frattempo devono finire di scrivere la tesi di laurea. Paradossalmente, in caso di reintroduzione della leva obbligatoria, un laureando che ha, per sua fortuna, già trovato un impiego fisso dovrebbe rinunciarvi, licenziandosi, per assolvere i propri doveri militari. Ne varrebbe la pena?
Senza dubbio il dibattito sulla convenienza della reintroduzione della naja non può fermarsi a mere considerazioni in ambito lavorativo. Tuttavia, in un periodo storico in cui l’occupazione giovanile in Italia è già ai minimi storici, le ripercussioni del servizio di leva sul mondo professionale non possono essere ignorate. Se il ministro Salvini ha veramente a cuore l’educazione dei giovani, potrebbe sostenere e promuovere progetti che avvicinino i giovani neolaureati e diplomati alle aziende e agli enti pubblici (magari non tramite iniziative discutibili come l’alternanza scuola-lavoro). Infatti, l’avvio dei giovani alla cultura del lavoro può instillare un senso di responsabilità, autonomia e operosità, oltre a un rinnovato patriottismo (lavoro visto come principio cardine della Repubblica Italiana, secondo l’articolo 1 della Costituzione), più di quanto non faccia un anno di leva obbligatoria.
– R. Daneel Olivaw