Morire, dormire, forse, sognare: il meccanico che rubò l’aereo

Ieri, 11 Agosto, a Seattle un meccanico dell’Alaska Airlines ha sottratto un aereo di linea dall’aeroporto dove lavorava. Inutili sono stati i tentativi di farlo atterrare. L’uomo avrebbe infatti ignorato ogni guida dalla torre di controllo, andandosi deliberatamente a schiantare su un’isola vicina. Nessun collegamento al terrorismo. Nessun intento di ferire altre persone, se non esso stesso. Un caso di suicidio.

L’aereo rubato dell’Alaska Airlines

Dopo il furto, il ladro ha addirittura scherzato con i controllori che, da terra, cercavano di impedirgli gesti folli. Non prima di una serie di acrobazie, l’improvvisato pilota ha scelto di terminare la sua vita in modo clamoroso sull’isola di Ketron, immortalato da decine di persone armate dei loro smartphones.

Cosa può portare un uomo ad un simile gesto? La decisione che ha preso è da considerarsi un atto di coraggio, oppure di egoismo, dettato dalla paura e dal terrore? E soprattutto, tutti possono arrivare a questo? Questo argomento è diventato tabù, si cerca sempre di non pensarci o di evitare l’argomento, vedendolo come qualcosa di lontano da molti. Ma se si va ad analizzare cosa la letteratura ha da dirci, si comprende come invece questa condizione umana sia molto più ampia di quanto possa sembrare.

 

Essere o Non Essere: questo è il problema

Shakespeare basa quasi totalmente un’opera su questo concetto, ed addirittura lo associa ad un principe e ad una nobildonna, due di quelle figure socialmente apprezzate ed idealizzate. L’autore cerca di capire come funzioni l’umano –tutto il genere umano-, la sua essenza più interna, anche analizzando il suo desiderio del vivere. O meglio, non tanto cercando di comprendere il perché l’uomo può arrivare a compiere una tale azione, piuttosto il perché no. Davanti ad una situazione dove si è pronti all’autodistruzione, cosa spinge a fermarsi?

Laurence Olivier con il celebre teschio di Amleto

Con il personaggio di Amleto, il commediografo presenta infatti un dubbio esistenziale: lasciarsi abbandonare alle trame del destino, senza reagire, rimando totalmente inermi; oppure prendere in mano la propria vita, combattendo in ogni modo per sottrarsi al dolore? Agire o non agire? Essere o non essere? Coraggio o codardia?

La soluzione a cui arriva il principe di Danimarca non è chiara. Non sa decidersi riguardo al da farsi, non immediatamente almeno, però arriva ad una soluzione. Capisce che quello che ferma la mano di un uomo è la paura dell’ignoto ‘dopo:

‘Morire, dormire… Dormire. Forse, Sognare. Ah, qui è il problema! Perché in quel sonno di morte quali sogni potrebbero arrivare’.

 

Un concetto universale

Se il mondo dopo la morte fosse conosciuto e chiaro all’uomo, questo non esiterebbe a mettere fine ai suoi dolori terreni. Ma nel dubbio, l’umano preferisce subire pene note, a cui può trovare come rispondere. Un comportamento molto comune, quello di sviare l’ignoto, di preferirgli il conosciuto.

Ciò che si capisce di essenziale dall’opera è, quindi, che il concetto del suicidio è universale. Non è un qualcosa di demoniaco, di improvvisato, di selezionato. Il pensiero della fine della vita può toccare chiunque e far scaturire una serie di pensieri umani e naturali. Questo è un concetto che abbraccia i bisogni e le paure di ogni uomo: il desiderio di controllare, di sapere, di avere pace. Shakespeare aiuta a persuadere che il suicidio non è da demonizzare, ma da cercare di comprendere, in quanto parte della natura umana, di tutti.