L’eterno ritorno dei cerchi: Nietzsche e gli Eugenio in via di gioia

«Oh Zarathustra, gettasti il sasso lontano, – ma esso ricadrà su di te!». «E tu che ti senti un cerchio perfetto in un piano infinito, sali le scale per scoprire cosa c’è lassù, ma non ti stai muovendo, stai cambiando solo piano piano». Apparentemente tra queste due espressioni sembra non esserci un nesso causale, soprattutto se consideriamo che la prima è stata partorita da una grande mente dell’Ottocento come Friedrich Nietzsche, mentre la seconda appartiene al gruppo musicale Eugenio in via di gioia, divenuto famoso negli ultimi cinque anni, e salito alla ribalta con l’ultimo album Natura viva, il quale contiene a sua volta “Cerchi”, la canzone da cui è tratta questa strofa. Tuttavia tra queste due espressioni e in generale tra il discorso de “La visione e l’enigma” contenuto nell’opera “Così parlò Zarathustra” e la canzone “Cerchi” sembrano esserci molte somiglianze e molti intenti comuni.

Sarà necessario però ricapitolare in maniera sommaria alcuni punti del pensiero nietzscheano qui tirato in ballo: questo discorso presenta il tema dell’”eterno ritorno”, teoria per la quale un singolo o l’umanità è costretto a vivere un esistenza ripetuta all’infinito, e il tempo assume così assume tratti circolari e non segue una concezione lineare, così come gran parte della tradizione filosofica e religiosa ha voluto prima. Questo significa però un sentimento di paura che si presenta ai sensi di chi capisce di dover rivivere per sempre la stessa esistenza, e allora esisteranno due modi di reagire: vivere come l’uomo occidentale fa, e come Nietzsche sembra criticare, cioè in maniera passiva e impaurita, rifiutando ogni istinto vitale e asservito solo ai voleri di Dio o di volontà esterne, oppure vivendo da “superuomo”, considerando la vita come propria, e gestibile nella maniera più opportuna e audace. Dettò ciò, Nietzsche vuole criticare una visione dell’uomo occidentale, il quale non accoglie la vita e il disordine così come gli si presentano, ma rifiuta l’istinto vitale e si domanda insistentemente sulla propria esistenza, cercando un senso dove un senso non c’è. Nel discorso “La visione e l’enigma” Nietzsche fa riferimenti vari ad una teoria che rimane classica nella storia del pensiero filosofico, ovvero quella dell’eterno ritorno dell’uguale, per il quale il tempo segue una concezione circolare, e tutto tende a finire e ripetersi. Sarà compito dell’uomo forte saper reagire a questa idea soffocante, e colui che saprà farlo sarà l’oltreuomo nietzscheano, che nel discorso prima citato viene raffigurato da un pastore, che su una pendenza di montagna riesce a dare un morso ad un serpente, il quale essendo simbolo di un tempo circolare e chiuso viene distrutto e dimenticato dall’uomo audace prospettato dal filosofo tedesco.

Perché collegare un grande filosofo novecentesco ad una band indie-pop italiana degli anni 2000? Certamente non perché entrambi sono legati alla città di Torino, dato che la salute mentale del celebre filosofo iniziò a perdere colpi proprio nella città di Torino, esattamente nella piazza Carlo Alberto, dove alla vista di un cavallo colpito dal proprio padrone si avvicinò baciandolo; la band invece nasce proprio nella città piemontese e lì muove i primi passi. Il legame che si può intravedere  tra queste due figure è la comune riflessione sulla condizione dell’uomo di fronte al tempo e alla morte: Nietzsche parla di un uomo rinato dopo la convinzione di essere potente e superiore al tempo che passa, sicché «Non più un pastore, non più un uomo – ma un rinnovato, un illuminato che rideva. Non mai ancora sulla terra un uomo rise al pari di lui!». L’uomo supera questa condizione da uomo occidentale debole, così come la religione o la morale gli hanno imposto, e impara a ridere della vita e a sapere di vivere attraverso dei “cerchi”. Nella canzone degli Eugenio in via di gioia il messaggio è simile: nella prima strofa il soggetto della canzone sa e dichiara di aver paura della morte, nella seconda vengono presi in considerazione la lumaca e il computer, i quali l’uno non sa di poter vivere al di là del proprio guscio, il secondo ha già tutte le risposte a qualunque domanda. La terza strofa è quella cruciale, perché simbolicamente nelle prime due l’uomo vive impaurito dalla morte e da ciò che può esistere fuori di lui, così come il “cristiano” di Nietzsche; è nella terza invece il momento in cui l’uomo prende coscienza di sé e Così si affida alla ragione in cerca di una soluzione:

Da non sapere se creder nell’uomo

Adesso pensa di essere un uomo

Che non sapevo se creder nell’io

Adesso penso di essere Dio

Dio, che paura

Ma chi l’avrebbe detto

Che questa creatura avesse coscienza di sé

E fame di conoscenza anche se

Ciò significa però che l’uomo così rigonfio di sé crede di poter vivere da Dio e imponendo la propria visione alla realtà che lo circonda, e tutto sommato rimaniamo in una prospettiva nietzscheana, in cui l’uomo fa un esasperato uso della ragione, che l’antico Socrate introdusse nella storia del pensiero occidentale secondo Nietzsche.  L’ultima strofa però è più realista e viene ripetuto più volte «Cerchi dappertutto, ma non la vedi la sfera» con un sottile riferimento al tempo, che appunto si chiude e riapre come un cerchio infinito. Come detto prima, ciò che lega Nietzsche agli Eugenio in via di gioia non è Torino, anche perché non è felice ricordare un momento triste della vita di un grande filosofo, ma il fatto che entrambi fanno riferimento alla vita intesa come un cerchio, con il risultato che Nietzsche risulta sempre più trionfalistico, come un superuomo, appunto.

 

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