L’eroismo bellico mercificato ed esaltato durante il Romanticismo e le sue ripercussioni sulle propagande dittatoriali.
L’arte è da sempre usata come mezzo di propaganda bellica, che si parli di scultura, di pittura, di musica, di teatro o di cinema, molte rappresentazioni artistiche, dal Romanticismo ai grandi regimi dittatoriali usavano, e di fatto usano la figura dell’Eroe patriota come modello ideale del soldato che combatte per il Paese, António Lobo Antunes smonta il concetto di “Eroismo bellico”.
Cosa intendiamo per “Eroismo”?
Spiegare il concetto di eroismo senza scopiazzare dall’Enciclopedia Treccani è complicato, proviamoci: è una sorta di condizione mentale e fisica che spinge una persona o un gruppo di persone a compiere imprese talvolta titaniche dietro la spinta di una forza d’animo carica di adrenalina ed una punta di follia (provate a fare di meglio).
Esempio: Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re, Aragorn davanti ai cancelli di Mordor, monologo conosciutissimo: “Arriverà un giorno in cui il coraggio degli uomini cederà (…) ma non è questo il giorno, quest’oggi combattiamo!!!”, superlativo, ma gonfiato?
Pitture, sculture, manifesti, libri, fotografie, film, musica, ed addirittura fumetti, durante i periodi trattati: dal Romanticismo alla Seconda Guerra Mondiale (ed anche oltre), avevano il potere di influenzare la collettività rappresentando una realtà pilotata che faceva emergere un concetto difficile da spiegare, quindi semplificando: “Se mi arruolo sono un figo perché ho la divisa, difendo la mia Patria e quindi divento un eroe”.
Comunque: la guerra è uno schifo, sempre lo è stato, e sempre lo sarà, allora perché durante il Romanticismo (e non solo) si avvertiva questa fervenza bellica incontrollata, perché l’eroismo era così mercificato, esaltato dalle arti e ambito tramite Medaglie al valore, gradi militari e riconoscimenti? Le immagini influenzavano ed esaltavano questa voglia di combattere? Molto probabilmente, ma la realtà dei fatti sul campo di battaglia, qual è?
Dittature ed eroi
La figura dell’eroe patriota e pronto a morire per il Paese, nasce in tempi antichissimi, nell’Antica Grecia e dall’Antica Roma, in cui i sovrani venivano spessissimo rappresentati in forme eroiche e divinizzate, nel Romanticismo queste rappresentazioni eroiche tornarono in voga, per poi avere ripercussioni sulle varie propagande dittatoriali.
Un esempio eclatante potrebbe essere il culto della personalità di queste figure dittatoriali, che cercavano di trasmettere un’idea di forza sia fisica che mentale ai propri cittadini, come ad esempio le celebri fotografie non troppo attente al pudore di un Mussolini non in formissima a torso nudo in mezzo alla neve mentre scia o va sullo slittino, il concetto qual era? vedere il Duce che sfida il freddo, esaltava ed ostentava la forza e la potenza di quella che era l’Italia Fascista, tramite la personificazione del condottiero.
Quindi: gli eroi romantici, i quali erano sia personaggi davvero esistiti sia personaggi appartenenti alla finzione anche letteraria, avevano, durante i regimi dittatoriali, la funzione di ispirare la popolazione in quelli che poi sarebbero stati gli atti bellici intrapresi dal regime.
Altro esempio forse un pochino azzardato: senza andare troppo lontano, lo stemma della Lega usa la figura di Alberto da Giussano, capo militare della Lega Lombarda che, almeno secondo la tradizione, sconfisse le truppe di Federico Barbarossa nella Battaglia di Legnano, l’uso della personificazione di un eroe appartenente alla tradizione lombarda, spiega il concetto bossiano del “Noi della Lega ce lo abbiamo duro”, povero Alberto da Giussano…
In Culo al mondo
Ebbene sì: il romanzo di Antunes, così si intitola, mi si perdoni il turpiloquio.
Il titolo è molto, tranchant, perentorio, quasi provocatorio, eppure esso rappresenta alla perfezione ciò che il protagonista del romanzo vive, e che di fatto ci porta alla realtà dei fatti.
Parlando di… “Deretano del pianeta”, l’autore intende l’Angola, un paese dell’Africa Meridionale da sempre colonia portoghese, da sempre con rapporti anche bellicosi con la fantomatica Madrepatria, Antunes racconta un’esperienza vissuta in prima persona, con qualche goccia di finzione.
Quello che colpisce della narrazione, è in primis lo stile adottato: un marasma di parole splendide con pochissimi punti fermi in cui il protagonista racconta per filo e per segno le emozioni che prova durante l’esperienza bellica, e soprattutto durante i malsani retroscena dell’esperienza bellica: alcool, licenze sporadiche, nascita di figli avuti con una moglie ripetutamente tradita e sposata forse troppo frettolosamente, prostitute, madamato, morti violente, vite spezzate troppo presto, distruzione, sangue, precarietà, tristezza, nostalgia, pentimento; il tutto condito dal senso di fragilità e di immensa solitudine, solitudine che diventerà il malessere cardine del protagonista.
Quello che Antunes fa, è andare controcorrente, il raccontare una guerra senza eroi che ci fa capire che l’esaltazione dell’eroe patriota e pronto a morire per il paese, in realtà, a parte qualche caso sporadico, è tutta fuffa.
Concludere la mini-recensione di un romanzo con una piccola frase tratta dall’opera in questione è quanto di più accademico, scolastico e scontato si possa fare, ma queste poche parole evidenziano alla perfezione il senso di solitudine latente che attanaglia il protagonista.
Sono sempre stato solo Sofia, soprattutto in guerra, perché Il Cameratismo della guerra è un cameratismo di generosità falsa, fatto di un inevitabile destino comune che si subisce insieme senza condividerlo