Le magnifiche foto dalla sonda Juno ci ricordano da dove arrivi questo capolavoro d’ingegneria

Un nuovo articolo di Focus.it rispolvera immagini sensazionali catturate da Juno 8 anni fa.

La Terra vista dagli “occhi” di Juno (fonte: https://www.focus.it/scienza/spazio/terra-sonda-juno)

La sonda Juno è stato uno dei progetti più importanti del decennio scorso. Progettata per raggiungere Giove e aiutarci a capire di più sul gigante del nostro sistema, ha anche regalato degli scatti magnifici del nostro pianeta.

Juno: una grande scommessa

Quando Juno fu lanciata nel 2011, qualcuno era ancora scettico sul fatto che la sua missione potesse andare a buon fine. Il suo lancio verso Giove prevedeva infatti una traiettoria molto particolare. Dalla Florida Juno venne sparata verso la fascia degli asteroidi, una regione compresa tra le orbite di Marte e Giove a diverse centinaia di milioni di chilometri dal Sole. Esaurita la spinta iniziale il Sole tirò di nuovo Juno verso di sé, fino a farla avvicinare di nuovo alla Terra. Questa manovra, chiamata Earth Juno Gravity Assist, diede a Juno la spinta per dirigersi definitivamente verso Giove. Questa manovra sfrutta una tecnica, chiamata fly by (letteralmente “volo vicino” per cui la sonda si avvicina ad un corpo celeste a tal punto che la gravità di quel corpo agisce come fionda per indirizzare la fionda in una direzione diversa da quella da cui arrivava, con la velocità desiderata. Può sembrare semplice a parole, ma calcolare una manovra del genere può rivelarsi tremendamente difficile. Fermiamoci un attimo e pensiamo a qualcosa di più vicino rispetto a noi: la guida. Quando siamo alla guida il nostro cervello calcola in continuazione le “traiettorie migliori” da eseguire quando entriamo in una curva o in una rotonda, per evitare di finire fuori strada o schiantarci al primo palo. Ora, film di fantascienza a parte, le auto non volano, quindi le direzioni di cui il nostro cervello tiene conto sono due. Se siamo su una curva queste due direzioni sono quella diritta davanti a noi e quella diretta verso il centro della curva. In base a queste due direzioni noi decidiamo se accelerare, oppure frenare, oppure sterzare più o meno il volante. Ora pensate di star guidando nello spazio. Oltre a quelle due direzioni ne avete una terza, ossia quella sopra la vostra testa, e dovete tenere conto non solo della curva che state facendo ma anche delle cinque successive prima ancora di salire in auto. Questo perché, ovviamente, i calcoli della sonda non si possono rifare solo all’attrazione terrestre, ma devono tenere conto di tutti i corpi celesti abbastanza vicini. In poche parole gli ingegneri aerospaziali si trovano per le mani decine di variabili diverse, e sulla base di queste devono calcolare con precisione velocità e angolo iniziale di partenza dal pianeta Terra. Tornando all’esempio della nostra auto, pensate ad un altro enorme problema: le curve non si muovono, i pianeti invece sì. A meno che l’addetto comunale alle strade non impazzisca e cambi ogni giorno sensi unici o inverta curve e rettilinei durante la notte, voi conoscete ormai a memoria la strada che vi porta a scuola o al lavoro proprio perché beh, è sempre la stessa. I pianeti non godono invece della stessa “stabilità”, per fortuna aggiungerei. Tutti i corpi celesti vicino a cui deve volare la sonda sono in movimento continuo, tutti con velocità, accelerazioni e traiettorie diverse. Immaginate quindi per un attimo di dover guidare una macchina volante, con curve in tutte le direzioni, che mentre ci state guidando sopra si spostano e possono sbalzarvi via. Diciamo solo che alla domanda “a che ora torni” la risposta potrebbe essere “spero almeno di tornare”. Curioso come il nome Juno sia un omaggio alla moglie di Giove, Giunone, che nella mitologia romana doveva spesso sopportare di “non vedere il marito tornare” la sera, perché impegnato con delle sveltine tra umane, dee e chi più ne ha più ne metta.

Il lancio di Juno (fonte: NASA)

La missione per svelare i misteri di Giove

E dei suoi satelliti. Per quanto suggestivi, gli scatti della nostra casa fatti da Juno sono solo il “contorno”. Il piatto forte è infatti quello intorno a cui Juno orbita da quasi 5 anni: Giove. Gli obiettivi principali di Juno sono esaminare la sua composizione e il suo campo magnetico. Questo perché conoscere diversi aspetti dei pianeti del nostro sistema può aiutare nella costruzione di modelli e ipotesi per pianeti troppo lontani da esplorare, ma anche per capire meglio la nostra Terra. Negli ultimi anni la planetologia sta prendendo sempre più piede nella ricerca d’avanguardia. Le nuove tecnologie stanno spingendo gli astronomi a dare uno sguardo più attento al nostro sistema solare piuttosto che alla ricerca di stelle lontane. Dei giganti gassosi, ne siamo consapevoli, sappiamo ancora molto poco. Giove, Saturno, Urano e Nettuno: sono questi i nomi dei più grandi inquilini del nostro “sistema casa”. A differenza di Mercurio, Venere, Terra e Marte, chiamati pianeti interni o pianeti terrestri per le somiglianze con la nostra dolce casa blu, sono infatti completamente gassosi e notevolmente più grandi. Basti pensare che il più grande pianeta tra quelli interni ci sta sotto i piedi ogni giorno e ha un raggio di circa 6380 km, mentre il più piccolo tra i giganti di gas, Nettuno, ha un raggio di oltre 24 mila km. Oltre alla notevole differenza di dimensioni, la composizione dei pianeti “gioviani” è molto diversa da quella nostra e dei nostri vicini. Mentre tutti i pianeti terrestri sono perlopiù rocciosi e hanno atmosfere molto fini rispetto alla loro dimensione, i giganti gassosi si credono avere un piccolissimo nucleo solido all’interno, ricoperto da strati di migliaia di chilometri di nubi, liquidi vaporizzati e gas. Questa fitta coltre di nubi rende impossibile osservare la superficie dei giganti gassosi, e per questo sono aperte ancora diverse speculazioni a riguardo. Questo è un problema avuto anche con le osservazioni di Venere, anche se in condizioni ben diverse. Tornando a Juno, i dati e le fotografie inviate da Giove e dai suoi satelliti hanno dell’incredibile. Per la prima volta sono stati osservati i poli di Giove: regioni in cui i venti si incontrano per creare e distruggere turbini dalle forme bizzarre. Oltre alle suggestive immagini dei poli, Juno continua a regalarci anche foto di Ganimede, uno dei satelliti di Giove e più grande satellite di tutto il sistema solare. Queste osservazioni e misurazioni sono realizzate anche grazie all’aiuto di scienziati italiani dell’ASI, che hanno collaborato nella realizzazione degli asset di Juno. La sonda Juno orbiterà intorno a Giove ancora per diverso tempo, e tutti noi speriamo che possa ancora regalarci immagini del genere e, se possibili, anche migliori. Tutti gli scatti sono disponibili sul sito ufficiale della NASA e nei diversi articoli che parlano dell’evoluzione della missione Juno.

Immagine inedita dell’emisfero Sud di Giove scattata da Juno (fonte: NASA)

 Dietro la magia di Juno: i materiali dell’ingegneria aerospaziale

Come le auto necessitano di materiali performanti, così succede per le sonde e i satelliti. Ovviamente, come detto prima, questo diventa molto più complesso nello spazio. Oltre ai combustibili, che non possono di certo essere benzina o diesel e nemmeno il cherosene usato negli aerei, anche la struttura deve essere realizzata con i materiali migliori. Juno non è infatti alimentata a gasolio, e tantomeno a spinta, ma grazie a dei pannelli solari. I pannelli solari per avere una buona resa hanno bisogno di materiali in grado di catturare la luce solare, quali il silicio, e ancora convertire la luce in energia elettrica necessaria per gli apparecchi a bordo della sonda. Parte dell’energia è anche usata per trasmettere dati alla Terra, tra cui quelle suggestive immagini presenti sopra. Non tutte le sonde sono però alimentate in questo modo. Prima di Juno la NASA è ricorsa spesso ai generatori termoelettrici a radioisotopi. Questo sistema usava una fonte di calore, come un motore usa un carburante, e un convertitore di questa energia in energia elettrica. Ora, grazie allo sviluppo tecnologico delle celle solari, le agenzie spaziali stanno optando per l’uso dei pannelli. Riguardo invece alla trasmissione di dati, il sistema non cambia ormai da diversi decenni. Se credete che Juno possa smettere di punto in bianco di inviare dati non vi disperate: le sonde Voyager lanciate 50 anni fa e ormai fuori dal sistema solare continuano a inviare dati di tanto in tanto. Oltre ai pannelli solari, anche la struttura deve rispettare certi standard. Nello spazio le sonde sono esposte a radiazioni, temperature estreme e polveri. La struttura deve quindi proteggere tutti gli apparecchi all’interno ed evitare che la sonda si danneggi. Come potrete intuire, i materiali preferiti sono metalli e leghe metalliche. Ferro, oro, titanio e platino sono solo alcuni esempi. Ultimo ma non meno importante, il razzo che ha portato Juno fuori dall’atmosfera. Il vettore Atlas V è stato colui che ha dato la spinta alla sonda fino allo spazio. Questo razzo è costruito in acciaio e diviso in due stadi di propulsione. Il primo usa un mix cherosene-ossigeno liquido, mentre il secondo idrogeno liquido-ossigeno liquido. La propulsione necessaria a spingere le sonde fuori dall’atmosfera è molto elevata, mentre quando la sonda giunge nello spazio, in assenza di attrito, il suo movimento è determinato quasi solo dai campi gravitazionali. I capolavori come le sonde e i satelliti richiedono un’enorme lavoro dietro. Non solo ingegneri aerospaziali che coordinino il tutto e prevedano le traiettorie, ma anche ingegneri chimici e meccanici che si occupino di materiali e combustibili. Alla fine della sua missione Juno verrà risucchiata dalle nubi di Giove, e sparirà per sempre schiacciata dalla pressione del gigante. Una fine triste per certi versi, ma se davvero è il viaggio che conta, la vita di Juno sarà stata più che soddisfacente.

Immagine di Ganimede scattata da Juno (fonte: NASA)

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