Le 5 poesie d’amore più belle cantate da Petrarca nel suo Canzoniere

Laura e Petrarca, il connubio perfetto per far riordinare ogni cuore da Amore. Può una storia così trasognata essere raccontata nella sua evoluzione in 5 poesie?

Voi ch’ascoltaste in rime sparse il suono, Era il giorno ch’al sol si scoloraro, Solo e pensoso i più deserti campi, Erano i capei d’oro a l’aura sparsi e Chiare, fresche e dolci acque sono state, sono e saranno poesie di una letteratura evergreen, veicolano l’amore con carica tensiva e raccontano l’alpha e l’omega di una storia d’amore d’altri tempi. Le 5 poesie, quattro sonetti e una canzone, sono contenute nel Canzoniere. L’opera tutta è una sorta di romanzo in versi, si compone infatti di inizio, svolgimento e conclusione, come a raccontare la storia di una vita, quella del poeta. L’inizio coincide con il suo giovenile errore, nonché l’innamoramento per Laura e l’ambizione poetica; nello svolgimento il poeta si ravvede e si pente perché prende consapevolezza della vanità delle cose terrene e della fugacità del tempo; si converte, alla fine, ad una vita autenticamente cristiana, lontana da ogni passione, ma ogni azione è contornata dall’accidia. Scritto con molta probabilità dal 1348, anno della morte di Laura, anno della peste nera in Europa, al  1374, stesso anno della morte dell’autore.

1.Voi ch’ascoltaste in rime sparse il suono

Il sonetto proemiale fu vergato dal Petrarca sin dall’inizio con l’intento di destinarlo all’apertura del Canzoniere. Voi ch’ascoltaste in rime sparse il suono non fa altro che anticipare e presentare il progetto dell’opera tutta: ricomporre in unità i frammenti sparsi della sua anima divisa; il sonetto infatti è la forma migliore che rispecchia l’idea di frammento; Rerum vulgarium fragmenta è infatti il titolo originale dell’opera.

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono.                                                                                                                                                                  di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,

[…]

et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.

Ne consegue una bipartizione logica tra quartine e terzine, una scissione tra passato e presente. Nella prima parte il Voi è un’apostrofe ai lettori, che in una sorte di gioco ambiguo, non si sa se abbiano già letto le rime sparse del poeta o debbano ancora a farlo. Ma il vero protagonista è Petrarca, la cui centralità si evince anche dalla rima suono/sono (vv.1-4). Oltre alla novità del canto dell’io interiore, della poesia lirica quindi, la vera rivoluzione è che il poeta non è veramente contrito (v.4), ma costantemente vinto dal dissidio interiore, evidenziato da un’antitesi. La seconda parte, carica di meditazione morale, muove dal particolare al generale: il frutto del giovenile errore è la vergogna, ma dopo il pentimento si conosce che quanto piace al mondo è breve sogno.

2. Era il giorno ch’al sol si scoloraro

Il terzo sonetto della raccolta, da considerarsi l’esordio della storia d’amore con Laura, ha come titolo Era il giorno ch’al sol si scoloraro. E’ il 6 aprile 1327, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone, Petrarca incontra la donna per la prima volta. Il sonetto è proprio di un carattere esemplare: l’innamoramento per Laura infatti coincide con l’anniversario della Passione di Cristo. Anche se la cronologia è quasi sempre fittizia in Petrarca (il venerdì santo del 1327 non era il 6, ma il 10 aprile, e la chiesa di Santa Chiara non era stata ancora edificata), il messaggio che vuole lanciare è quello che all’innamoramento coincide una morte spirituale. Viceversa il 6 aprile 1348, data della morte di Laura, coincide con la domenica di resurrezione: il poeta libero dall’amore, adesso può anche lui risorgere spiritualmente. La commistione tra sacro e profano, tema che Petrarca ripropone ad esempio nel sonetto XVI, emerge con prepotenza nell’intertestualità con il vangelo di Luca: il cielo si fa cupo e tenebroso, sia quando Cristo esala l’ultimo respiro, sia quando Petrarca nutre il cuore di sospiri alla visione dell’amata. Il tema degli occhi è un altro file rouge del Canzoniere, nella metafora petrachesca di guerra-amore, rendono il poeta disarmato e senza sospetto vulnerabile ai colpi d’Amor.

3. Solo e pensoso i più deserti campi

Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.

Inappagato da questo amore, Petrarca pensa di annegare i suoi dispiaceri nella natura, lontano dalle maldicenze della gente. Imbevuto di solitudine e pensieri sofferenti, sembra che neanche il paesaggio geografico gli dia pace, forse perché cerca in questo gli stessi tratti tristi e dimessi del suo paesaggio interiore. L’identità fra realtà soggettiva e oggettiva si fa più forte nel momento in cui il poeta, che prima era solo, si immagina ragionare insieme ad Amore. Il dialogo con la natura risente di una profonda sensibilità romantica, tanto da ispirare i posteri, Leopardi ad esempio.

4. Erano i capei d’oro a l’aura sparsi

Non è forse vero che il ricordo di un amore riempie il cuore tanto quanto la stessa storia d’amore? Nel sonetto XC Petrarca rievoca con soave nostalgia la resistenza dell’amore nel cuore, nonostante lo scorrere del tempo, nonostante lo sfiorire fisico di lei, che a tratti adotta tratti sovrumani, ma che immediatamente dopo viene catapultata in una realtà tutta terrena, come una dea pagana più che un angelo. Il poeta però si trova già tra l’incudine e il martello, evita quindi di palesare il nome della donna e lo cela delicatamente dietro il sostantivo aura. Ma in questo gioco sensibile la cosa più pittoresca è la descrizione delle virtù fisiche e morali della donna, che non hanno bisogno di parafrasi.

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;

[…]

Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’i’ vidi: e se non fosse or tale,
piagha per allentar d’arco non sana.

5. Chiare, fresche e dolci acque

Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;

Tre soli e semplici aggettivi, chiare, fresche e dolci, capaci di imprimere nel cuore di ogni lettore il concetto di sublimità e capaci di una para-ascesi. Questi si riferiscono alla fontana di Valchiusa, la dolce riva, evocata insieme con la fascinosa presenza di Laura, in simbiosi con la natura. La celeberrima canzone di Petrarca, divisa in 5 stanze più una di congedo, ricalca tutti i tratti tipici del locus amoenus, che subisce la minaccia mortale quando il poeta, nella seconda stanza, si raccomanda alla natura affinché accolga le sue spoglie in una tranquilla fossaquando giungerà al risposato porto. Nella terza stanza, con una fantasia postuma riesce ad immaginare una visita di Laura alla sua tomba, la donna gli confessa di averlo sempre amato, di non aver mai confessato il proprio amore nei suoi confronti per garantire la salvezza eterna ad entrambi, ma nell’etere potranno finalmente ricongiungersi e amarsi. Questo spinge il poeta fino all’annullamento dei confini tra reale e immaginario, dopo aver immaginato Laura per l’ennesima volta bella in una pioggia di profumati fiori.

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