«Capitale culturale» è il termine coniato dal sociologo francese Pierre Bourdieu e definisce l’accumulo di conoscenze, comportamenti e abilità attraverso i quali è possibile dimostrare la propria competenza culturale e la propria posizione nella società.

Secondo Elizabeth Currid-Halkett, autrice del libro The Sum of Small Things: A Theory of an Aspirational Class, la nuova élite benestante e istruita consolida il proprio status attraverso la conoscenza, la costruzione di capitale culturale e le abitudini di spesa che ne derivano, preferendo investire in servizi, istruzione e benessere piuttosto che in beni puramente materiali.
Nell’era della globalizzazione il lusso è diventato un mercato di massa. Di fronte alla democratizzazione dei beni di consumo e alla crescente disuguaglianza sociale, gli oggetti acquistati e le esperienze vissute sia dai ricchi, quelli che incassano più di 300.000 euro all’anno per capirci, che dai ceti medi non risiedono più in due universi completamente diversi. Nel 2018 l’acquisto di cose frivole o eccessive si è reso molto meno utile come mezzo per mostrare lo status.

Secondo Credit Suisse, per distinguersi dalla folla, le élite moderne stanno alterando le proprie abitudini di consumo passando dal materialismo manifesto a spese più sottili che rivelano status e conoscenza. In questo modo i nuovi simboli di stato inviano messaggi sul tipo di capitale culturale posseduto da una persona.
Il nuovo lusso non è ostentato ma egocentrico. A detta della dottoressa Currid-Halkett, il consumo poco appariscente è fatto di segnali sottili che indicano conoscenza e tempo libero da dedicare al culto di uno stile di vita ideale. Le nuove abitudini di consumo d’élite sono estremamente costose ma invisibili allo sguardo distratto di chi non conosce le regole del gioco.
La Halkett non si risparmia nel mostrarne gli esempi: per chi se lo può permettere insieme alla fattura per la scuola materna privata c’è la consapevolezza di una lunchbox gourmet preparata con cracker di quinoa e frutta biologica a chilometro zero rigorosamente senza fritti. Un abbonamento al New Yorker costa sì «solo» 200 dollari all’anno ma il fatto di sottoscriverlo, di essere visti con una copia nascosta nella borsa e di apprezzarne i contenuti, denota un certo tipo di istruzione e capacità intellettuali.

Nonostante la tendenza apparentemente frugale dei ricchi la spesa per gli articoli di lusso è in costante aumento con una crescita del 6-8% pari a circa 281 miliardi di euro entro il 2018 secondo gli analisti di Bain&Company. Già perché i milionari e soprattutto i miliardari non sono tutti uguali.