“La banalità del male”: quando il piccolo James venne torturato e ucciso da due bambini

L’omicidio del piccolo James Bulger da parte di altri due bambini è la prova schiacciante che il male è un fatto, come diceva Hannah Arendt, banale.

James Bulger

Liverpool, 12 Febbraio 1993. Denise si trova al centro commerciale New Strand con suo figlio. James Bulger ha soli due anni e sta facendo compere con la donna. Entrano alle 15.40 in macelleria, dove la madre acquista delle costolette d’agnello. Sorridente, paga, si volta e si accorge di essere sola. Dove è finito James?

L’omicidio di James Bulger

Data la tenera età di James e la sua generale obbedienza, Denise sa per certo che qualcosa deve essere successo. In effetti, le telecamere confermano la teoria della preoccupata mamma: due bambini si sono avvicinati a lui e lo hanno portato via mentre erano nel centro commerciale. Conquistata la sua fiducia, secondo quanto si vede dai filmati, tengono James per mano e lo conducono fuori dall’edificio.

I rapitori rispondono ai nomi di Jon Venables e Robert Thompson. Le violenze di cui James fu vittima sono svariate e narrarle una ad una si rivela un compito arduo per qualsiasi narratore. A riuscire nell’intento sono stati, però, in tanti. A parere di chi scrive, vale la pena di sentire questa storia dalle voci di Elisa True Crime e Francesco Migliaccio nel suo podcast Demoni Urbani.

La causa della morte non è stata tutt’ora accertata, poiché James riportava talmente tante ferite che fu impossibile comprendere quale gli avesse effettivamente tolto la vita. Jon e Robert portarono il bambino lungo un canale, facendolo inciampare diverse volte e procurandogli numerose ferite. Ma questo è solo l’inizio delle truci torture che portarono alla morte il bambino, che, si ricorda, ha soli due anni.

Passarono tra negozi e abitati, fino a giungere a una piccola stazione ferroviaria poco utilizzata, la Walton & Anfield su Walton Lane. Qui inizia il massacro. Gli spalmarono della vernice blu, acquistata in precedenza, in faccia. Infilarono delle pile, anch’esse comprate prima dell’omicidio, nel retto o nella bocca della loro giovane vittima (vi sono diverse versioni di questo episodio). Colpirono il corpo inerme con mattoni, sassi e una sbarra d’acciaio pesante 10 kg. Gli perpetrarono abusi sessuali. Uno dei due diede al corpicino una pedata così forte sulla faccia che rimase impressa e fu rinvenuta durante l’autopsia.

Il corpo di James fu ritrovato tranciato in due sui binari del treno il 14 Febbraio. I due assalitori lo avevano abbandonato lì ancora vivo, nella speranza che fosse un treno ad ucciderlo e che il loro omicidio passasse, in realtà, per un incidente.

Jon Venables e Robert Thompson

La banalità del male

Un dettaglio, però, rende la vicenda ancora più difficile da sopportare: quanti anni hanno i due assassini al momento dell’uccisione. L’età dei killer rende il crimine di cui stiamo parlando decisamente più complesso di quanto non sia apparso finora, data la sua efferatezza e crudeltà. Jon e Robert hanno entrambi solamente 10 anni. Quello di James Bulger è uno di quei casi di true crime davanti a cui non si possono voltare le spalle. La domanda che tutti ci siamo posti, leggendo o ascoltando questa storia, è stata solo una: perché?

Risposte adeguate non ce ne sono. Una sola appare all’altezza e ce la forniscono i libri di Hannah Arendt: perchè il male non è il compendio dell’irrazionalità umana, ma piuttosto un fatto assolutamente inconsistente. Nel suo La banalità del male, la cui prima edizione risale al 1963, la filosofa tenta di dare una nuova spiegazione al male che abita l’uomo. Ai suoi occhi, tutte le soluzioni trovate dalla filosofia per spiegare questo concetto nei secoli precedenti si sono dimostrate insufficienti o insoddisfacenti. Davanti a due bambini che uccidono un’anima innocente come quella di James, non possiamo accontentarci della massima socratica secondo cui il male nasce dall’ignoranza.

Hannah Arendt scrive il libro dopo aver assistito a Gerusalemme al processo di Otto Adolf Eichmann, responsabile della deportazione e dello sterminio di centinaia di ebrei durante la Germania nazista. La donna voleva vedere come si presentasse l’uomo in carne ed ossa e il suo aspetto gli appare perfettamente ordinario. Non mostra la sua malvagità all’esterno, tanto che la Arendt lo descrive così:

la sola qualità che gli si poteva attribuire, sulla base del suo passato e del comportamento all’epoca degli interrogatori e del processo, era negativa: non si trattava tanto di stupidità, quanto di un’autentica incapacità di pensare.

Alla vista di uno dei più spietati collaboratori del regime nazista, inizia ad elaborare la sua teoria del male. Questo viene definito un fatto banale perchè non deriva nè da stupidità, nè, viceversa, da razionalità, ma da una più generale incapacità di riflettere in maniera critica sul mondo. Eichmann non si sente responsabile di niente, se non di essere stato l’esecutore di un ordine, e non mostra rimorso perchè, in fin dei conti, è convinto di non aver ucciso nessuno.

La banalità del male è proprio questo: il fatto che davanti ad alcune delle azioni più violente perpetrate ai danni dell’umanità non ci si renda conto del proprio ruolo e si ripeta ciò che per tutta la vita si è sentito, rimanendo incapaci non solo di pentirsi, ma anche di esaminare la realtà. Il male è banale perchè è superficiale, perchè distorce la mente dell’uomo per sempre e gli impedisce di elaborare in maniera critica e profonda le proprie azioni.

Adolph Eichmann

Va tutto bene, piccolo?

Alla luce di tutte queste considerazioni che la Arendt fa su Eichmann, possiamo tentare di leggere la tremenda storia di James Bulger. Jon e Robert sono due bambini e torturano James fino ad ucciderlo proprio perchè il male è banale. Il solo fatto anagrafico di avere una così giovane età non giustifica, anzi, pone un interrogativo etico più profondo: sono coscienti di ciò che hanno fatto? La Arendt risponderebbe che no, non lo sanno, perchè chiunque faccia il male non sa di farlo. Non sa proprio cosa stia facendo.

La prova schiacciante di questo fatto è che la realtà dei due piccoli killer appare distorta quanto quella di Eichmann: se l’uomo accusava un potere più in alto di lui di cui lui avrebbe solo eseguito gli ordini, i due si accusano a vicenda, ammettendo di aver preso parte al delitto, ma suggerendo che la morte di James sia stata procurata dall’altro.

Alla vittoria del male sul bene, però, in entrambi i casi, vinse un altro fattore. Hannah Arendt lo mise chiaramente in luce nella propria opera e, proprio per questo, ricevette dure critiche. La filosofa notò come gli ebrei, data la loro passività, avessero avuto un ruolo nel proprio sterminio. Nella loro incapacità di opporsi e, in alcuni casi, nel loro parziale collaborazionismo, si nasconde una delle ragioni per cui la Shoah divenne un dramma storico senza precedenti.

Allo stesso modo, James fu visto camminare o, in alcuni casi, trascinato in compagnia dei suoi assassini da ben 38 testimoni, passati alla storia come i 38 di Liverpool. Il piccolo era già ferito e qualcuno provò a chiedere loro cosa stessero facendo. Jon e Robert sostennero di averlo trovato e star portando il piccolo alla più vicina stazione di polizia. Nonostante diverse persone avessero notato come il trio non stesse prendendo la direzione giusta, nessuno osò allertare le autorità o seguire i bambini.

Solo una donna chiese a James “come va, piccolo?” e tentò di mettersi sulle tracce dei due rapitori. Sfortunatamente, quando chiese all’amica con cui si trovava il favore di sorvegliare il proprio bambino, questa rifiutò e i tre scomparvero rapidamente. Storie come questa non ci insegnano solo che chi fa il male non lo fa in maniera deliberata, ma anche che il silenzio è un complice coi fiocchi per il delitto perfetto e che, nella società dell’individualismo, scaricare le proprie responsabilità su altri si rivela il modo migliore per non sentirsi i cattivi della storia.

Hannah Arendt

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