Non è atipico per Stati Uniti e Iran essere protagonisti di scontri verbali. Dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca però, i rapporti con Teheran si sono ulteriormente incrinati. Il presidente, come aveva anticipato, ha interrotto gli accordi sul nucleare presi nel 2015 dall’amministrazione Obama. Afferma che l’Iran non ha rispettato gli impegni presi, continuando a lavorare segretamente per munirsi del nucleare, come affermato anche dal governo israeliano. Un tweet del tycoon testimonia la gravità della situazione, riaccendendo i toni di una diatriba non nuova alle dinamiche internazionali.
Scontri a distanza
L’America porta avanti da mesi una campagna volta a screditare il governo di Rouhani. Per gli Stati Uniti il regime sembra avere i connotati di una gestione mafiosa, più che di uno stato nella sua accezione classica. Inoltre l’accusa riguarda anche il favoreggiamento di unità terrostiche, che operano in medioriente anche grazie all’appoggio di Stati che non combattono il proliferare di tali minacce. Mike Pompeo, il segretario di stato americano, porta avanti per conto del presidente questa azione mediatica che ha come obbiettivo quello di far affiorare la verità sul conto dell’Iran. Cerca di fomentare la rivolta interna e spera infine di far abbandonare una volta per tutte gli studi iraniani sul nucleare.
Rouhani invece, stanco di essere preso di mira dalla campagna lesiva americana, ha tenuto un discorso di monito nei confronti del paese rivale. Esorta Trump a non giocare con la coda del leone, e ricorda al tycoon che la madre di tutte le paci, quella con l’Iran, può facilmente diventare la madre di tutte le guerre. Dichiarazioni inaccettabili per gli Usa, le cui risposte non si sono fatte attendere. Trump, con un accattivante tweet in formato maiuscolo, fa capire a Rouhani che l’America mai più accetterà le sue parole di odio e violenza. Lo invita infine alla prudenza, promettendo conseguenze che la storia non ha mai conosciuto, nel caso in cui proseguissero le dichiarazioni minatorie del regime di Teheran.
La reale situazione del governo di Rouhani
Da quando l’America ha deciso di ritirarsi dal patto sul nucleare, l’Iran rischia il collasso interno. A riportarlo è una nota giornalista, Tiziana Ciavardini, che nonostante i tentativi iraniani di boicottare il suo lavoro prosegue assiduamente nel raccontare ciò che realmente accade. La moneta attualmente in vigore in questi ultimi mesi ha subito una svalutazione di quasi il 40%. Il problema dei beni bloccati alle dogane e delle fluttuazioni delle valute estere compromette l’economia del paese, e a pagarne le spese sono i lavoratori. Per questo motivo in queste settimane si stanno consumando numerose manifestazioni contro il presidente e la sua direzione di governo. Accusato di sprecare risorse per finanziare azioni militari nei paesi vicini, il consenso di Rouhani sta lentamente scemando. A testimoniare la gravità degli eventi incorrono anche le proteste dei ‘Bazari’. Non si registrava una loro manifestazione dal 1979, anno della rivoluzione islamica, in cui questi mercanti, artigiani o titolari di piccole imprese, si esposero contro lo Shah Muhammad Reza. Su questa categoria sociale poggia la reale stabilità del paese e una loro rivolta può pericolosamente comprometterne le sorti.
La risposta dell’Occidente
L’Occidente invece, dal patto JCPOA del 2015 ad oggi, continua a sostenere le dinamiche interne dell’Iran. Afferma inoltre di voler mantenere fede agli impegni presi anche dopo la fuoriuscita degli Stati Uniti. Si esprime a riguardo anche l’ex ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, che contesta invece la reticenza messa in campo dai governi europei. Il pericolo è che l’Italia continui a cercare esempi democratici in ambienti di finto riformismo. L’industria repressiva iraniana è oggi sempre più viva e conta almeno 3 impiccagioni al giorno e quotidiane incarcerazioni per contestazione politica. Dopo la rielezione truccata di Ahmadinejad nel 2009, è cominciata la più grande rivolta che il paese abbia mai sperimentato, conosciuta dal mondo come ‘Onda verde’, che ha lasciato dietro di sé una scia di morte e distruzione. In terra siriana però le sfumature dittatoriali del governo non passano certo inosservate. Per merito di una classe universitaria in continua crescita, le grida di protesta non cessano di essere ogni giorno più acute. Gli unici a non capirlo sembrano essere i governi occidentali, che per ricercare nuovi guadagni con l’alleato mediorientale e per non passare dalla pericolosa sponda dell’opposizione, continuano a chiudere entrambi gli occhi alle sofferenze di un intero paese.