Il rapporto Invalsi 2019 non solo rivela uno stato di inefficacia del sistema di istruzione italiano, ma anche forti squilibri tra Nord e Sud.
Anche quest’anno, come ogni anno dal 2008, gli studenti delle scuole elementari, medie e superiori, hanno sostenuto il test Invalsi: una prova scritta il cui scopo è valutare i livelli di apprendimento di alcune competenze fondamentali riguardati l’italiano, la matematica e l’inglese. Lo scopo di questa prova è quello di valutare l’efficacia del sistema educativo (Invalsi è acronimo di Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione).

I risultati di queste prove vengono analizzati dall’istituto e raccolti in un rapporto che in queste ore è stato presentato alla Camera.
Che risultati ha dato l’Invalsi 2019?
I risultati che si evincono dal rapporto del 2019 sono simili a quelli del rapporto del 2018: disastrosi!
Solo il 64,5% del campione ottiene risultati pari o al di sopra dello standard richiesto in italiano (quasi uno studente su tre è al di sotto degli standard richiesti), le cose si complicano ulteriormente se parliamo della matematica (51,8%) e dell’inglese (per la prova listening siamo addirittura al 35%).
Purtroppo le cattive notizie non finiscono qui, il rapporto mostra un sostanziale squilibrio tra nord e sud (a questo proposito il direttore dell’istituto nel 2018 disse “un anno di scuola in Veneto vale come due anni di scuola in Calabria”), in Campania, Calabria e nelle isole si registrano picchi del 25% di risultati notevolmente al di sotto dello standard “possiamo dire che in larga parte del sud ci sono ragazzi che affrontano l’esame di terza media avendo competenze da quinta elementare” commenta Roberto Ricci.
Risultati alla mano è difficile dire che il diritto allo studio in Italia sia tutelato, e ancora più difficile dire che sia un diritto di tutti.
La prova Invalsi è una misura universale

Il modello di valutazione proposto dall’Invalsi non è esente da critiche, fin dalla sua comparsa ci sono state diverse proteste e boicottaggi sia da parte dei docenti che degli alunni. Sono in molti (tra cui il pedagogista Benedetto Vertecchi) a sottolineare come un test standardizzato possa generare persone “standardizzate”: cavie da laboratorio esaminate, classificate e selezionate per rendere più “produttivi” prima gli istituti scolastici e poi il mercato del lavoro, il tutto a scapito della democrazia.
Senza tralasciare il fatto che gli esseri umani non sono macchine e quindi non possono essere valutati come tali, anche perché in un futuro, nemmeno troppo lontano, la competizione tra uomo e macchina diventerà sempre più ingombrante, e difficilmente noi umani diventeremo più bravi delle macchine nell’essere macchine stesse.
Yuval Noah Harari
Lo scrittore e storiografo Yuval Noah Harari è un intellettuale che al tema della competizione tra uomo e macchine ha dedicato molte parole nei suoi lavori: nel suo ultimo libro le 21 lezioni per il XXI secolo indica l’istruzione come il vero campo di battaglia del futuro dell’umanità: quasi tutti i sistemi scolatici del mondo impostano i loro programmi sull’accumulo di nozioni, il problema è che nel ventunesimo secolo le informazioni sono tante (del resto viviamo nell’epoca della post-verità), ciò che quindi occorre non è tanto assumere informazioni quanto assumere i mezzi per discernerle e per inquadrarle in contesti.

L’istruzione del futuro dovrebbe essere improntata sulle “quattro C”: critica, comunicazione, collaborazione, creatività, questo perché l’attitudine più importante da apprendere è la capacità di gestire il cambiamento. Tale capacità diventa estremamente importante con l’evolversi dell’umanità, dato che (sostiene Harari) gli spazi di continuità tra una fase storica e l’altra andranno a ridursi sempre di più, e in una fase di cambiamento continuo diventerà sempre più importante la domanda “chi sono io?”.
Fin quando ci trovavamo in un mondo che cambiava con lentezza era cosa saggia seguire gli insegnamenti di chi conosceva il mondo da prima e meglio di noi, ad oggi non è più questa una scelta consigliabile.
L’Invalsi non misura la capacità dello studente di adattarsi al cambiamento, tuttavia non possiamo ignorare la situazione di squilibrio che ci mostra: più che chiederci se i nostri figli non studino abbastanza dovremmo interrogarci sull’efficacia della scuola in generale e domandarci se davvero questa sia accessibile a tutti in egual misura.
Fabio Cirillo