Talvolta un semplice e banale errore può costare molto più di quanto effettivamente si creda. Di fatto, è ciò che è accaduto ai così definiti private banker. Una mera mail, a quanto pare inavvertitamente dimenticata a casa d’un cliente, smaschera le reali intenzioni della banca in questione. La gaffe utilitaristica, oramai uscita allo scoperto, non può che gettare chiunque nello sconforto. La bassezza del livello di rapporto umano, dimostrata attraverso l’Agostone – l’oggetto della mail -, altro non fa se non conciliare amarezza e sdegno.
La mail dei private banker: il contenuto
Come di consueto, sussiste una tentazione abnorme tra le file del marketing: guadagnare, guadagnare il più possibile. Di per sé, ciò non rappresenta un reale misfatto. Per quanto qualcuno possa lamentare un eccessivo attaccamento al Dio Denaro, lo scopo d’un’impresa – o d’una banca, così come, talvolta, d’un privato – concerne il fatturato. Il problema sorge allorché questo viene raggiunto mediante tattiche e sotterfugi al di fuori della sfera morale, nonché legale. Lo si può notare durante la lettura d’uno scambio di mail interne, desunte dalla struttura d’una grande banca e dirette alla personale rete di private banker.
“Ragazzi – così recita il documento – visto il gap accumulato facciamo una chiamata forte per i banker. Ogni banker si deve impegnare a collocare almeno 300mila euro di certificate. Sono davvero soluzioni molto appetibili lato commissioning e la possibilità di collocarli su profili 3 renderà il prodotto disponibile per pochissimo tempo. Gli altri “dn” mi hanno già detto che hanno raccolto manifestazioni di interesse per parecchi milioni. Non vorrei che ci trovassimo ancora indietro. Per il mese di agosto mi aspetto che ogni banker riesca a lavorare almeno su 1/4 del bacino a disposizione. Sappiamo bene che non ci sono altre strade per recuperare il ritardo accumulato. Vi prego di estendere la comunicazione ai vostri colleghi ribadendo la massima importanza nel non perdere un solo giorno”.
La sottile linea tra il consulente e la canaglia: quando chi deve tutelare, in verità, rovina
Il contenuto della mail si rivela sufficientemente chiaro: il mese di luglio, in termini di guadagni e budget, s’è rivelato deludente. Al seguito di ciò, dunque, i banker sono stati sollecitati ad agire mediante una pressione commerciale già veduta tempo addietro, la quale, cioè, non rappresenta neppure un qualcosa di nuovo. Il lupo perde il pelo … ma non s’inchina neppure dinnanzi alla MiFID – direttiva dell’Unione Europea atta alla creazione d’un terreno competitivo tra gli intermediari finanziari, senza però pregiudicare la protezione degli investitori. Da tali documenti interni si comprende come realmente si ponga la situazione. “Se non invertiamo immediatamente la tendenza chiuderemo in negativo a due cifre rispetto ai ricavi della banca”. Vendere a profilo 3 – mi è stato spiegato – significa, dal momento che il prodotto risulta rischioso, vendere più di quanto sia effettivamente possibile, aumentando di conseguenza la redditività totale. Vendere altresì ai profili più bassi, insomma, solo poiché maggiormente remunerativi per la banca. Questa, ahimè, non può dirsi certo una consulenza, tutt’al più una letterale presa in giro. Come ci si può fidare d’un qualcuno che, a quanto pare d’abitudine, offre servizi al fine non tanto di tutelare il cliente, quanto, piuttosto, di rovinarlo?
La generalità dell’utilitarismo: breve storia del concetto
Come affrontato in un precedente articolo, il così definito utilitarismo consta d’una dottrina filosofica di matrice etica, la quale considera il “bene” alla stregua di ciò che aumenta la felicità. L’utilità, in tal senso, risulta nientemeno che la misura del grado di felicità d’un essere sensibile. Una formulazione compiuta del concetto di utilitarismo si deve al pensiero di Jeremy Bentham, datato XVIII secolo. Egli definì l’utilità “una produzione di vantaggio“, atta a minimizzare il dolore ed al contempo massimizzare il piacere. Dopo l’entrata in scena di John Stuart Mill, questa divenne il perno del ragionamento etico, poiché considerata una misura cardinale additiva. Il benessere sociale, cioè, inteso come somma del benessere dei singoli individui. In tal senso, la giustizia, come finalità, si prefisse la massimizzazione del benessere sociale e, di conseguenza, a detta di Bentham, “il massimo della felicità per il massimo numero di individui”. L’utilitarismo, a tal seguito, si manifesta a guisa d’una teoria della giustizia, secondo la quale l’atto giusto corrisponde a quello che massimizza la felicità complessiva – misurata in termini di utilità.
Il distacco dalla moralità e la critica di Williams

Non possiede rilevanza la considerazione morale dell’azione. Non sussiste alcun giudizio morale aprioristico, ovverosia antecedente all’atto. Si analizzi, ad esempio, il furto tipico d’un ladro gentiluomo. Esso, secondo una simile visione utilitaristica, può essere considerato giusto qualora comporti un miglioramento dello stato sociale. Bernard Williams, contemporaneo critico del pensiero utilitaristico, si rende portavoce della problematicità delle nozioni di “benessere” e “felicità“. Egli asserisce che l’utilitarismo, proprio perché stante al di fuori della sfera morale, autorizza il compimento di atti oltraggiosi purché sia salvaguardato il benessere d’un qualcuno. In particolar modo, l’inglese evidenzia come tale pensiero ignori l’identità degli individui coinvolti, le esigenze, in altri termini la loro integrità. La massima di Amartya Sen, economista indiano, riflette la situazione in cui la pocanzi menzionata banca è incappata. “L’utilitarismo – afferma –, impiegando come unico criterio di valutazione morale la somma delle utilità individuali, privilegia sempre le preferenze dei più benestanti”.
In ciò, dunque, risiede il reale problema. Ignorare l’identità degli individui – soprattutto se propri clienti, bisognosi di tutela finanziaria – conduce inevitabilmente all’errore. Come detto, in molti bramano il denaro e lo venerano a guisa d’una divinità, ma ciò risulta lecito solo nel momento in cui non nuoce a terzi. I dirigenti della banca in questione, probabilmente, gioiscono d’un guadagno benché ottenuto tramite inganno. Buon per loro. Tuttavia, ciò non toglie che l’ingente ammontare dei loro capitali corrisponda – in maniera inversamente proporzionale – alla pochezza ed alla povertà della loro dignità di uomini.
– Simone Massenz