È utile, non è utile, è utile, non è utile? Nella nostra società se l’intellettuale fosse una margherita, l’ultimo petalo offrirebbe la prevedibile sentenza finale: non è utile.
Nei primi del ‘900 prende l’avvio una nuova concezione dell’intellettuale. La società comprende che può fare a meno dei suoi insegnamenti, dei suoi voli pindarici nei cieli della poesia. Questo senso di non appartenenza si riflette nel crepuscolarismo sotto le spoglie di vergogna. Ma nel 1975 De André se ne esce con il suo album “Volume 8”, decidendo che è ora scossa che l’intellettuale si rimbocchi le maniche e torni nuovamente nel contesto sociale, che ha sempre più bisogno di nuovi sognatori.
TOTÒ MERUMENI: L’INETTO GOZZANIANO
Svevo in un passo del suo primo romanzo “Una vita”, sostiene che al mondo ci sono due tipi di uomini: i pesci, destinati ad essere vittime dei gabbiani. I primi non sono altro che spettatori della vita; i secondi sono i lottatori, coloro che agiscono e si realizzano all’interno della società. Ebbene, l’inetto non è altro che un pesce, e se pensa di assomigliare a un gabbiano non è certo per la sua abilità nella caccia (ossia nell’adattarsi al mondo), ma possiede ali per fare “voli poetici”. Il personaggio descritto da Gozzano, Totò Merumeni, non è altro che uno studioso intento a rimpiangere una perduta età dell’oro degli intellettuali. La descrizione iniziale della villa non è altro che metafora di questa condizione:
Pensa migliori giorni la villa triste, pensa
gaie brigate sotto gli alberi centenari,
banchetti illustri nella sala da pranzo immensa
e danze nel salone spoglio da gli antiquari.
I versi che seguono delineano la perfetta figura dell’intellettuale inetto, incapace del successo amoroso, buono soltanto ad aiutare uno “scolaro pel tema”. Suona un po’ come se Gozzano dicesse a chi studia lettere “la tua fatica servirà soltanto per fare bella figura nei quiz televisivi”. Sembra un esempio semplicistico ma non lo è affatto. Ormai la cultura è confinata nei giochi a premi, e non esce di lì. La società fa benissimo a meno della figura dell’intellettuale. Quello che serve al giorno d’oggi è produttività ed efficienza. Servono gabbiani.
DE ANDRE: L’INETTO NON “VIVE” MA “CONTA” I GIORNI
Anno 1975, album “Volume 8”, scritta a quattro mani insieme al Principe (De Gregori). Canzone per l’estate ricalca il tipo d’inetto crepuscolare, presentandolo però in modo diverso. È un uomo che ormai si è imborghesito, e a causa di questo non riesce più a volare. Il volo assume il significato gozzaniano (non sveviano): staccarsi dal suolo per viaggiare nei cieli della poesia dove, come ci ricorda l’Albatros di Baudelaire, solo lì si sente a suo agio. Infatti nella trappola borghese è sposato, ha figli e vede la vita trascorrere all’insegna della banalità, dove l’unico momento di brivido è il pensare “agli occhiali che tra un po’ dovrai cambiare”.
Coi tuoi santi sempre pronti a benedire i tuoi sforzi per il pane
con il tuo bambino biondo a cui hai dato una pistola per Natale
che sembra vera,
con il letto in cui tua moglie
non ti ha mai saputo dare
e gli occhiali che tra un po’ dovrai cambiare.
Se la vita è superficiale ecco che non è più possibile distinguerla in attimi: risulterebbe “piatta come il mio elettrocardiogramma” (come direbbe Frah Quintale). Stessa monotonia è avvertita ai versi finali della poesia di Gozzano E vive. Un giorno è nato. Un giorno morirà, ripresi dal cantautore in e ogni giorno un altro giorno da contare. Se ne deduce pertanto che la figura dell’inetto non vive i giorni, non li assapora fino in fondo, ma si limita ad enumerarli perché l’oggi è uguale al domani che verrà e allo ieri che è passato.
DIFFERENZA TRA L’INETTO POETATO E L’INETTO CANTATO
Come abbiamo detto la figura cantata da De André è un uomo che si è imborghesito aderendo alle maglie della società. Paradossalmente è proprio la condizione di adeguatezza a generare un senso di inettitudine nel protagonista, rendendolo associabile al Totò gozzaniano. Però c’è una grande differenza tra la poesia e la canzone, e sta tutta nel punto di vista del narratore. Il signor Merumeni rinuncia a qualsiasi forma di riscatto, e Gozzano sembra proprio essere d’accordo (anche perché tramite la poesia evidenzia la sua condizione). De André al contrario cerca di esortare il suo personaggio, di scuoterlo, di farlo tornare a volare come un vero gabbiano. Non importa se le ali rendono impacciati, non serve provare vergogna come i crepuscolari, serve tornare a sognare. C’è bisogno di assaporare i giorni, non di contarli.