Gomorra e lo “stato di natura” di Hobbes: quale morale in un mondo di lupi?

Sodoma e Gomorra sono le città distrutte da Dio a causa della corruzione dei propri abitanti: non contano neanche dieci uomini meritevoli di essere risparmiati. Si identificano così con una condizione peccaminosa irrimediabile, una dimensione del Male totale e pervasiva. È questo il presupposto biblico che dà vita alla acclamatissima serie basata sul romanzo di Roberto Saviano. Gomorra è un microcosmo all’interno del quale non c’è una definita e rassicurante lotta tra buoni e cattivi, tra legalità e crimine. Lo spettatore non ha la possibilità di parteggiare per il bene, di schierarsi dalla parte di integerrimi tutori della legge: la crudeltà che coinvolge tutti impedisce qualunque identificazione emotiva. Brutalità dopo brutalità, il nostro sguardo non può che limitarsi a osservare il grande teatro della violenza senza riscatto ed espiazione. Non esistono figure positive antagoniste del crimine o esterne alla logica camorrista. Insomma, manca il Bene. La presenza del Male è dipinta quasi esclusivamente nella sua ferocia ultimativa: l’associazione a delinquere diventa un inferno invivibile di violenza e paura. Gomorra è un redivivo stato di natura hobbesiano dove vale la legge del più forte, dove l’uomo è lupo per l’altro uomo.

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Pacta sunt servanda

Thomas Hobbes (filosofo e matematico inglese del ‘600) nel suo “Leviatano” del 1651 riduce il concetto di diritti naturali (che per lo più oggi chiameremmo diritti umani) alla libertà o potere che gli uomini possiedono in una condizione presociale o prepolitica chiamata “stato di natura”. Da questo stato l’uomo entrerebbe poi in una condizione “politica” mediante un “contratto sociale”. Ma in cosa consiste esattamente questo patto? La struttura di fondo del contratto sociale, nonché il motivo per cui costituisce la porta di ingresso dello “stato politico”, sono di per sé semplicissimi. La dottrina si fonda essenzialmente su due presupposti concettuali: il primo, come accennato, è la convinzione che la radice dei diritti naturali dell’essere umano vada trovata nello “stato di natura”, quella condizione in cui non ci sono regole che limitino i poteri e le libertà dell’individuo. Il secondo presupposto è che lo stato politico inizi a mo’ di limitazione consensuale dei propri diritti per amore, o meglio per “convenienza” (visto che è una dottrina a sfondo utilitarista) del vivere insieme. Infatti, secondo Hobbes, la natura umana è fondamentalmente egoistica, e a determinare le azioni dell’uomo sono soltanto l’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione. Dunque, se gli uomini si legano tra loro in amicizie o società, regolando i loro rapporti con le leggi, ciò è dovuto soltanto al timore reciproco. Nello stato di natura ciascun individuo, mosso dal suo più intimo istinto, cerca di danneggiare gli altri e di eliminare chiunque sia di ostacolo al soddisfacimento dei suoi desideri. Da ciò deriva la perenne conflittualità interna, in un continuo “bellum omnium contra omnes” nel quale non esiste torto o ragione (che solo la legge può distinguere), ma solo il diritto di ciascuno su ogni cosa (anche sulla vita altrui). Di conseguenza, l’uomo è costretto a stipulare due patti: uno d’unione, uno di sottomissione. Il primo limita le libertà individuali (nessuno ha il diritto di violare la libertà dell’altro) nel tentativo di ricercare la pace. Quello di sottomissione prevede la nomina di un ente superiore, il Leviatano (o per restare in tema un “Don Pietro”), che imponga ai membri della società il rispetto delle regole. È l’autorità assoluta, dunque, a creare un rapporto sociale orizzontale, a mitigare la guerra totale nelle piazze di Gomorra. Il suo giudizio non deve essere obiettato in alcun modo, è lecito contestare la sua decisione solo nel proprio intimo: perché “le scimmie sono belle quando fanno quello che dice il padrone, perché se vogliono comandare da sole, diventano pericolose, si devono abbattere” direbbe Pietro Savastano.

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L’estetica del disgusto

Gomorra ha un’indiscussa attrice protagonista: la violenza, pedina cruciale all’interno delle relazioni sociali non mediate dallo Stato. Lo spettatore viene gradualmente abituato alla “macelleria messicana” portata in scena nelle piazze della città e ai codici della violenza camorristica. Accompagnati per mano nel cuore di tenebra di quartieri in cui si spaccia a cielo aperto e si muore sull’asfalto, siamo infine catturati da dinamiche dove tutto si risolve nella dialettica tra valori biologici basali, rapporti di forza e convenienze reciproche. Così la valanga di violenza ci travolge ma non ci disgusta, e ci abbandona sul sottilissimo limite tra la meraviglia e l’angoscia. C’è uno stretto legame tra violenza agita e violenza rappresentata: il racconto concitato di un fatto violento appena accaduto mantiene una immediata forza comunicativa e ansiogena. Può incuriosire, atterrire, provocare una reazione di fuga o una reazione aggressiva. Ma la sensazione è che, in ogni caso, all’uomo, “animale-sociale e politico”, una dose giornaliera e massiccia di narrazione criminale sia indispensabile. Per questo noi, dinnanzi a Gomorra, non proviamo una vera e propria ripulsa morale. Perché forse la nostra altro non è che un’affrescatissima etica di facciata, che rasa e rattoppa la peluria del lupo celato in ognuno di noi.

Risultati immagini per violenzaForse l’unico deterrente che impedisce che si vìolino tutte regole è la pena ed è solo la cogenza della norma esterna a compensare la nostra sempre più mancante norma interna inibendone le conseguenze. Forse. Ma l’impressione che attanaglia lo spettatore di Gomorra è che la fiction sia una sorta di inquietante distopia che prefigura un futuro che ci riguarda. Un mondo in cui non è più prevista la presenza dello Stato, in cui gli individui hanno di nuovo il diritto di usare liberamente la forza, in cui la Giustizia è regolata dalla violenza privata. Competizione, ambizione, brama di potere, tradimenti e vendette sono in fondo categorie dello spirito che non appartengono strettamente alle organizzazioni criminali ma che agiscono nell’animo di ogni individuo all’interno di qualsivoglia gruppo sociale: sono meccanismi psicologici universali validi ad ogni latitudine. E così, per un fugacissimo istante, mi sembra di scorgere un mondo di lupi. Ma sbaglio: sta’ senza pensier”.

Tommaso Ropelato

 

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