Che cos’è un leader? Un leader è un fascinoso trascinatore, è un riferimento e guida, che non si impone con violenza ma convince e avvince, è una stella polare, luminosa e carismatica, che non oscura le altre stelle ma semplicemente con più forza brilla. La forza di un leader sta nello spingere, non nel costringere, sta nell’incidere, non nell’imporre, non dispone norme, diffonde idee. Un leader ha dei seguaci non dei sudditi, non ha bisogno della forza, né della coercizione, perché detiene un potere che smuove e trascina, che genera consenso e vicinanza. Un potere fluido, dinamico, morbido, che scorre e pervade. Un rapporto di forze direbbe Foucault, un’onda che urta senza colpire, che tocca e impatta senza danno, come un soffio di vento, che smuove le foglie nella sua direzione.
La figura del leader
Annamaria Testa, esperta di comunicazione, in un articolo del 25 marzo, pubblicato su Internazionale, analizza con precisione la figura del leader, sostenendo che la sua figura funge per le persone da “guida in grado di ispirare, orientare e organizzare. Un catalizzatore che consolidi e metta a sistema i bisogni e i desideri. […] uno specchio e un amplificatore della propria identità”. Parlando di guida viene da identificare il termine leader con quello di capo, ma, come ci fa notare l’esperta, c’è una differenza fondamentale, che impedisce di sovrapporli e confonderli. Ciò che distingue un leader da un capo è che un capo comanda, ordina, impone, ha dei subordinati, dei sudditi, che obbediscono ad ordini. In questi termini il capo non potrà mai prescindere dalla gerarchia: c’è dislivello tra chi comanda e chi è comandato e non sempre i sudditi riconoscono nel capo una figura da seguire ma semplicemente una scomoda voce a cui ubbidire. Il leader ha invece dei seguaci, non sudditi, e mantiene con loro un rapporto orizzontale, paritario, in cui l’obbedienza non è imposta ma scelta, in cui non c’è bisogno di violenza o coercizione, le idee del leader vengono accolte e messe in atto volontariamente. Le due figure possono anche sovrapporsi, questo potrebbe aumentare l’efficacia dell’azione, dice Annamaria Testa, ma aumenterebbe anche l’instabilità del ruolo.
Il soft power del leader con gli occhi di Deleuze e Foucault
Ciò che distingue un leader da un capo è anche il tipo di potere che essi detengono. Il potere che il capo esercita è un potere statico, che normalizza e normativizza, che omologa, che impone. E’ il potere comunemente inteso, che implica superiorità e dislivello, che richiama una dinamica di sopraffazione e sottomissione. Il potere del leader è un soft power, come si legge nell’articolo, ” fondato sulla fascinazione, sul consenso e su una fantasticata vicinanza”. E’ un potere che assomiglia a quello descritto da Gilles Deleuze nelle sue lezioni su Michel Foucault, raccolte e trascritte nel libro intitolato appunto “Il Potere – Corso su Michel Foucault (1985-1986)”. Deleuze, riprendendo le parole di Foucault, parla di un potere che non è violenza, non è ideologia, ma rapporto di forze, un’azione non su un corpo ma su un’altra azione (qui si fa riferimento alla definizione di potere fornita da Hannah Arendt). “Il potere non è una faccenda di grandi complessi, ma di onde e corpuscoli” (pp.37). In quest’ottica si coglie con evidenza la natura del leader, un fascinoso trascinatore, che, investe, avvince e convince, senza doversi imporre, senza coercizione, e che viene amato e seguito per il suo carisma e la sua personalità. E’ una figura che non agisce dall’alto, che non osserva e giudica dalle vette della supremazia, è un umile portatore di valori condivisi, di idee originali, con la forza di portarle avanti e con la caratteristica di attrarre e persuadere, detentore di quel potere fluido che tutto investe e tutto smuove.
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