“Parole dure. Parole dure di un uomo molto strano.” Così un ipotetico Kent Brockman avrebbe definito le recenti dichiarazioni di un capo di stato con così tanto potere concentrato nelle proprie mani da potersi permettere di parlare a sproposito.
Di ieri è stata la frase che ha “shoccato” la comunità cristiana, sia delle Filippine che del mondo occidentale: il presidente della repubblica Rodrigo Duterte, che definisce Dio come “stupido”. Apparentemente la notizia appare come perfetto tappabuchi su una qualche rivista da casalinghe, ma analizzando a fondo la storia recente dell’arcipelago dell’estremo oriente scopriamo facilmente che essa nasconde molto di più.
Le Filippine, attualmente, hanno visto imporsi sul proprio territorio minacce di ogni tipo. Tra le principali, l’avanzata dell’estremismo islamico, che ha portato alla distruzione di Marawi e a migliaia di sfollati in cerca di aiuto. Ma una nuova, più potente minaccia, cala sotto certi aspetti sulla popolazione: si tratta del suo stesso capo di governo. Attraverso decreti estremi- come la libertà offerta ai civili e ai poliziotti di uccidere a sangue freddo chiunque fosse sospettato di spaccio e consumo di droghe-, e tramite dichiarazioni dalla dubbia sensatezza- tra le più famose, l’ordine imposto durante un discorso di “sparare nella vagina delle combattenti comuniste”-, Duterte resta una figura a tratti enigmatica, a tratti completamente folle agli occhi della stampa occidentale.
Tornando a oggi, in seguito a una breve lettura del potere mediatico e politico del presidente filippino, la diretta sfida contro Dio gioca un ruolo chiave nella comprensione di uno tra i personaggi chiave del continente asiatico.
Fu già con il Leviatano di Hobbes che il concetto di fusione tra stato e chiesa prese il sopravvento come concetto monarchico. Il filosofo naturalista, però, aggiunge che tale fusione può essere messa in atto nel momento in cui la chiesa venga vista come “stato interno allo stato”. E se è vero che la società multi-religiosa filippina è stata spesso la madre di sanguinose rivolte e guerre fratricide, beh, il ruolo presidenziale di Duterte incarna alla perfezione l’ideale di Hobbes. Con la sola differenza che Duterte non è più un semplice Leviatano: la sua mutazione lo ha portato ad armarsi di un metaforico mantello, divenendo così un autentico Re Sole del ventunesimo secolo.
L’affermazione di Duterte non merita certo di passare in osservata. E sebbene anche il più piccolo degli atei stia indirettamente affrontando Dio, nessuno mai aveva osato sfidarne la sua figura su pubblica piazza- perlomeno, nessuno che avesse il controllo di un’intera nazione-. Resta paradossale che, con la sua affermazione secondo cui Dio è stupido, ne stia implicitamente accettando l’esistenza. Ma forse proprio qui nasce il meccanismo di autodifesa della comunità cattolica offesa e oltraggiata. Perchè se è vero che Dio ci ha creato a nostra immagine e somiglianza, è anche vero allora che Duterte ha chiamato stupidi 2,4 miliardi di persone.Volendo proseguire oltre, nel momento in cui il presidente filippino ha dichiarato una cosa del genere, ha dato dello stupido anche a sé stesso. Ma non è questo il punto (malgrado l’enorme ironia della faccenda).
Il punto, dicevamo, è che il potere di sfidare così apertamente le autorità ecclesiastiche, col sorriso sulle labbra e la certezza di restare impuniti a prescindere, non è altro che l’ennesima capacità acquisita da Duterte fin dal primo giorno del suo mandato. E va ricordato che si parla di un’autorità politica che una settimana fa, a seguito delle minacce di incarcerazione da parte di un tribunale internazionale, ha ribattuto dicendo che “non mi importa di essere messo dietro le sbarre. Consentitemi però di ricevere visite dalle donne.”
Misogino? Razzista? Assassino? Dittatore? L’interrogativo su quale parola sia la più adatta a descrivere il presidente Duterte deve ancora trovare risposta. Con 4.000 morti alle spalle a causa delle sue direttive al popolo filippino, poi, domandarsi su quanto simile a Dio sia il suo ruolo non può che far rabbrividire.
Forse in questo caso può tornare utile la dubbia argomentazione di Anselmo d’Aosta: se è vero che Dio concettualmente possiede tutte le maggiori doti pensabili dall’uomo, tra esse risiede anche la dote dell’esistenza. E se è vero che l’uomo, anche il più ateo del mondo, può idealmente pensare a qualcosa di sommo, ebbene pensando all’identità di Dio vi è anche la prova della sua esistenza. La risposta è perciò semplice: una volta che il popolo delle filippine getterà le armi per pensare a qualcosa di migliore, ebbene sarà in quel momento che nel Dio-Duterte spiccherà la sua inferiorità rispetto a qualcosa o qualcun altro. Ed è proprio in questo che consiste la rivoluzione che l’arcipelago asiatico sta aspettando forse da fin troppo tempo.
Meowlow