Ecco perché “più lo vedi, più ti piace”

Spesso ci iniziano a piacere cose che inizialmente abbiamo giudicato male. Succede con alcuni regali, le nuove hit dell’estate o gli abiti stravaganti sfoggiati sulle passerelle. Succede anche con le persone: i nostri amici ci appaiono più belli di quanto potrebbe giudicare un estraneo. È l’effetto che Zajonc, nello studio degli atteggiamenti, ha definito della “mera esposizione”.

In psicologia l’effetto della mera esposizione o “mere exposure effect” è il fenomeno per cui gli individui tendono a sviluppare una preferenza per le cose semplicemente perché le sentono familiari.
Questo effetto è stato dimostrato nei più svariati modi ed è verificato per opere d’arte, scritte, figure geometriche, volti e perfino suoni. Sarà per questo che Amore a Capoeira o l’abito da sposa di Chiara Ferragni ci piacciono sempre di più? Essendo costantemente esposti a tali stimoli finiamo per sentirli familiari e quindi ad apprezzarli di più. In psicologia sociale questo effetto è infatti noto come principio di familiarità.
Anche gli studi sull’attrazione interpersonale, che indagano i motivi per cui inizia a piacerci qualcuno, sembrano essere arrivati agli stessi risultati: più spesso vediamo una persona, più essa ci appare “bella”, anche rispetto all’opinione che ci siamo fatti al nostro primo incontro.
Lo stesso meccanismo spiegherebbe perché spesso non ci piacciamo nelle foto che ci scattano gli altri: così abituati a vedere il nostro viso allo specchio, non riconosciamo “familiare” il volto che ci restituisce la fotografia. Si dovrà a questo il successo dei selfies?

Sebbene I primi studi siano stati condotti da Fechner e Titchener, che dimostrarono l’esistenza di una “glow of warmth” (che potremmo tradurre come “aria accogliente”) che si esperisce in presenza di qualcosa di familiare, si attribuisce a Robert Zajonc, il merito di aver dato origine alla teoria della mera esposizione. Lo psicologo polacco dimostrò in una serie di esperimenti come ripetute esposizioni ad un certo stimolo fossero in grado di cambiare l’atteggiamento del soggetto verso di esso, in particolare, di renderlo più attraente agli occhi dell’osservatore. Egli dimostrò questo effetto utilizzando degli ideogrammi cinesi che vennero presentati ai partecipanti di uno studio per un numero diverso di volte (1,2,5,10 0 25 volte). L’esperimento venne proposto come una ricerca volta all’analisi dell’apprendimento di una lingua sconosciuta. Una volta chiesto ai soggetti di attribuire a ciascun ideogramma un significato positivo o negativo, coloro che l’avevano visto più volte ne ipotizzarono la connotazione positiva. In particolare, l’effetto della mera esposizione risultò maggiore quando non c’era un atteggiamento precedente (atteggiamento neutro) nei confronti dell’ideogramma o quando l’atteggiamento era già positivo. Potremmo considerare questo meccanismo come un principio di condizionamento. Zajonc motivò questo fenomeno universale con la reazione alla paura. L’uomo ha la tendenza innata ed essenzialmente adattiva ad evitare stimoli nuovi ed avere reazioni ansiogene di fronte ad essi. Per evitare che ogni nuovo stimolo generi queste sensazioni spiacevoli, la mente lo rende più piacevole e attraente.

In seguito al lavoro di Zajonc, Bornstein individuò alcuni fattori che influenzano il meccanismo della mera esposizione:

  • Presentazione degli stimoli: il consenso aumenta con le esposizioni in maniera non lineare. Dopo un certo numero di esposizioni essi cambiano in positivo, ma in modo sempre più moderato, fino a fermarsi. A volte è anche possibile che si verifichi un effetto boomerang. Spesso questa inversione di rotta è legata alla noia. Per ultimo, è stato dimostrato come stimoli non riconosciuti, processati in modo inconsapevole abbiano risultati più forti. Esposizioni inferiori al secondo provocherebbero effetti più consistenti che esposizioni lunghe.
  • Caratteristiche dello stimolo: all’aumento della frequenza di esposizione, corrisponde una crescita di atteggiamento positivo verso tutti i tipi di stimoli, eccetto per i disegni, per i quali sembrerebbe necessario molto più tempo. In generale, stimoli complessi generano un effetto più forte rispetto a stimoli semplici.
  • Caratteristiche individuali: sebbene non abbiano rilevanza genere, età o istruzione del soggetto, un maggiore effetto si verifica in soggetti con alto livello di bisogno di approvazione, sensation seekers (ricercatori di sensazioni), piacere per l’ambiguità e ansia manifesta. I bambini fanno eccezione: più solo le esposizioni, più l’effetto e quindi gli atteggiamenti risultano negativi.
  • Misurazione delle variabili: perché si veda l’effetto è necessario aspettare. È più facile notare il cambio di atteggiamento dopo due settimane dall’esposizione.

Questo effetto dà la possibilità di riflettere su quanto sia facile per un terzo formare il giudizio delle persone. Questo meccanismo è una forma di persuasione che agisce a livelli più sottili di una pubblicità, ma che paradossalmente può risultare più efficace nell’influenzarci: è così che possiamo spiegare il diffondersi di una moda.

Susanna Morlino