Ecco come Petrarca e De André ci raccontano i loro ricordi d’amore

Il topos dell’amore che viene e che va reso grande dai sonetti e le canzoni dei poeti trecenteschi, torna dopo secoli nelle parole di Fabrizio De André in una chiave nuova, ma non troppo.

Attraverso il sonetto “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi” e “La canzone dell’amore perduto”, vediamo come il ricordo di un amore passato, oggi come ieri, sia in grado di scaldare cuore e mente, regalando dolci liriche d’amore.

FRANCESCO PETRARCA

Nato nel Luglio 1304 ad Arezzo , Francesco Petrarca è stata una delle figure più importanti della nostra tradizione artistico-letteraria. Pittore, filologo, intellettuale e poeta ha contribuito alla definizione di un gusto destinato a lasciare il segno nella cultura successiva. Con la sua opera ha cantato la passione per Laura e l’amore per Dio, due poli che seppur opposti confluiscono nella poetica del Petrarca che ha così fissato modelli resistenti al tempo, regalandoci pagine tra le più belle mai scritte.  Tra tutte certamente quelle facenti parte del “Rerum vulgarium fragmenta”, noto anche come ”Canzoniere”, una raccolta di 366 componimenti di vario genere, con cui Petrarca rende noto il cammino del suo animo, scisso tra l’amore terreno per Laura e quello ultraterreno per Dio. Tale divisione è suggerita dall’impianto dell’opera stessa, bipartita nei testi in vita e in morte di Laura, scomparsa a causa dell’epidemia di peste intorno al 1348. Dopo questo evento, il poeta deciderà di abbandonare le mondane illusioni, ricercando la redenzione in Dio, vergognandosi del suo “primo errore giovanile”.

ERANO I CAPEI D’ORO A L’AURA SPARSI

Novantesimo testo del “Canzoniere”, il sonetto si configura come una vera e propria lode alla donna ricordata in tutta la sua bellezza. Il tema del ricordo d’amore appare fondamentale in Petrarca, essendo uno dei tratti distintivi della sua poetica, rispetto ai suoi contemporanei stilnovisti. Mentre in Dante, ad esempio, la donna si impone nella mente del poeta come apparizione angelica oggettiva e immediata, in Petrarca assistiamo alla proiezione della donna in un passato indefinito e lontano, richiamato sotto forma di ricordo. È questo il meccanismo che caratterizza il sonetto “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi”, in cui Petrarca guarda e presenta la donna attraverso il filtro della memoria, lodandola con parole pietose:

“Non era l’andar suo cosa mortale, 

ma d’angelica forma; e le parole

sonavan altro che, pur voce umana”

 Il poeta ci restituisce un’immagine femminile diversa dalla tradizione, in cui la rappresentazione della donna appare più veritiera, con i suoi vizi e le sue virtù, vittima dello scorrere del tempo e sempre colta nella sua bellezza che è sì angelica, ma non più angelicata. Laura diventa per il poeta ossessione, sofferenza e tormento, sentimenti alimentati dalla consapevolezza del fatto che lei non ricambierà mai il suo amore, motivo che spinge Petrarca a ricercare l’amata nel ricordo. È in questa dimensione lontana che la donna assume caratteri terreni e positivi, permettendo al poeta di recuperare un’armonia a lungo cercata e mai realmente trovata.

FABRIZIO DE ANDRÈ E “LA CANZONE DELL’AMORE PERDUTO

Nato a Genova nel 1940 Fabrizio De André è stato un cantautore italiano che a suon di chitarra ci ha raccontato gli ultimi e gli emarginati, preoccupandosi di dar loro una voce oltre che una dignità nei suoi testi immortali. Intellettuale e da molti definito poeta, Faber ha cantato la mafia come nessuno aveva mai fatto prima in “Don Raffaè”, la prostituzione in “Via del campo” o “Bocca di Rosa, fatti di cronaca come ne “La canzone di Marinella, amore e passioni come in “Amore che vieni amore che vai” o “La canzone dell’amore perduto”… Insomma può vantare una vastità di argomenti anche complessi e poco convenzionali, trattati con una delicatezza e una gentilezza che ben si sposano con i suoi testi, dolci ballate per un dolce animo qual era il suo.

“Ricordi sbocciavan le viole

con le nostre parole,

non ci lasceremo mai, mai

e poi mai

Cantava in “La canzone dell’amore perduto”, testo del 1966 dedicato al suo primo amore Enrica Rignon, o meglio, al suo ricordo. Il cantautore si lascia così cullare da questa dolce memoria, accompagnata da chitarra e voce che così arriva fino a noi e ci emoziona. A differenza dell’opera petrarchesca, qui a questo amore viene riconosciuta dignità e importanza nell’esperienza di vita di De André che dedica dolci parole al ricordo di un amore, sfiorito ma mai tradito dal tempo.

“L’amore che strappa i capelli

è perduto ormai

non resta che qualche svogliata carezza

e un po’ di tenerezza”

 

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