Se prima sul palco si improvvisava un personaggio, da Stanislavskij ci si immedesima.
La questione del “Che metodo hai studiato?” fra gli attori è diventato quasi uno stereotipo. È il semino per costruire quell’immancabile legame che il Regista vuole in scena.
Chi glielo dice che quello di Stanislavskij non è più solo un “metodo”?
IL METODO STANISLAVSKIJANO
Konstantin Sergeevič Stanislavskij (1863-1938) è passato alla Storia del Teatro come il primo teorico dell’espressione scenica. Difatti, mentre Anton Čechov si occupava delle drammaturgie, Stanislavskij maturava un sistema teorico di immedesimazione per l’attore: si focalizzava sull’approfondimento del personaggio e la ricerca di un equilibrio interiore fra quest’ultimo e l’attore, facendo ricorso a propri ricordi o emozioni. Dopo un accurato studio del testo drammaturgico, l’attore eseguiva degli esercizi che stimolassero determinate sensazioni ed emozioni in scena.
Questi esercizi sono il risultato di un accurato studio, da parte di Stanislavskij, sull’analisi della memoria emotiva e le tecniche di trance terapeutica condotte da Théodule-Armand Ribot, psicologo francese e contemporaneo del regista russo. Questi studi applicati al teatro verranno chiamati, in campo scientifico, psicotecnica.
Da questo studio, racchiuso ne Il lavoro dell’attore su sé stesso e Il lavoro dell’attore sul personaggio, e dagli esercizi appositamente creati, nel corso del XX secolo sono nati altri metodi di recitazione che fanno appello al teorico russo.
FIGLI E NIPOTI DI STANISLAVSKIJ
Un allievo della scuola di recitazione russa di Stanislavskij, un giorno decise di rinnovare quello che stava studiando focalizzandosi sulla modalità espressiva di un’emozione: nasce il metodo Strasberg (1901-1982). Era convinto che, ormai, all’interno di una società moderna e sempre più veloce, le persone fossero capaci di canalizzare le emozioni in binari ben specifici della propria mente. Quindi, non si scopre più l’anima del personaggio ma bisogna trovare le stesse caratteristiche che il personaggio riporta nel copione.
Dall’altra parte del mondo, Orazio Costa (1911-1999), comprende la funzione pedagogica del teatro e tratta l’immedesimazione dell’individuo focalizzandosi sul fatto che questo tende a specchiare l’azione della propria persona attraverso il riflesso mimico. Si abbandona, anche in questo caso, il lato introspettivo della recitazione stanislavskijana per far nascere il Metodo Mimico, applicato all’Accademia Nazionale d’arte drammatica e nelle altre importanti accademie di recitazione italiane.
Coetaneo di Stanislavskij, Brecht crea un metodo basato sulla recitazione esagerata, dove il tono di voce, gesti e espressività portano all’impossibilità di immedesimazione del personaggio: tutto si basa sullo straniamento e su passaggi da una scena all’altra senza un filo logico, col fine di tenere lo spettatore sempre attivo.
SI POTREBBE DIRE “METODOLOGIA STANISLAVSKIJANA” E NON “MEDOTO STANISLAVSKIJANO”
Siamo negli anni ’20 del XIX secolo, fra teatri e set ancora si sente citare il metodo stanislavskijano! Quasi al termine dell’era del teatro moderno, si potrebbe iniziare a parlare di “metodologia” di Stanislavskij dato l’evidente fatto che funge da archetipo a una serie di approcci registici diversi ma con le medesime pretese del regista russo (alcune sopra riportate). Gli esercizi creati dal teorico, nonostante siano stati rivisti e corretti attorno agli anni ’30 del Novecento, rimangono pilastro principale per gli approcci attoriali e le tecniche registiche contemporanee.
Che si tratti di un laboratorio teatrale o di un’accademia; della preparazione di uno spettacolo teatrale o di un film; che sia per lavoro o per puro bisogno, l’essere umano si immedesima nel personaggio nel modo in cui l’ha concepito Stanislavskij.
Tenendo conto della pubblicazione del primo libro nel 1938, si potrebbe sostenere che siamo arrivati, o comunque ci stiamo arrivando, al centenario dalla grande “invenzione” del regista russo. Le sue idee non sono solo metodo, ma si stanno trasformando in pura disciplina.