Non possiamo evitare che il nostro cervello produca costantemente un flusso di pensieri. Che siano semplici impressioni sul mondo circostante, immagini, ricordi, pensieri sui ricordi, pensieri sulle emozioni, pensieri sui pensieri, giudizi (e certamente, pensieri sui giudizi), quadretti idilliaci di un futuro che non avverrà mai (i cosìddetti “film mentali”) oppure ragionamenti articolati e complessi sullo scopo della nostra vita o sulla probabilità che il prof. chieda esattamente quel paragrafo all’esame… la nostra mente ne è costantemente attraversata. Alcuni pensieri hanno il potere di cambiare il nostro stato d’animo: alcuni evocano emozioni piacevoli, altri tristezza, ansia o preoccupazione.
Quanto controllo abbiamo sul flusso di pensieri che produciamo? Come organizziamo i nostri pensieri? Quanti dei nostri ragionamenti sono efficiaci? Come ragioniamo? Che pensieri teniamo in considerazione? Quali scartiamo?
Ma soprattutto, quanti, nel nostro naturale e incontrollato flusso di pensieri possono essere definiti pensieri critici?
Critical Thinking: qualche strategia
Molto più famoso nella letteratura accademica anglosassone che in quella italiana il critical thinking viene definito sinteticamente dal pedagogista americano Robert Ennis come un “pensiero razionale e riflessivo focalizzato a decidere cosa pensare o fare”, in realtà include un repertorio di tecniche e approcci molto più ampio e vario.
Una delle strategie che Ennis consiglia per i neofiti è la R.R.A., sigla per reflect, reason, alternatives.
Riflettere: consiste nel non accettare la prima cosa che si vede o il primo giudizio impulsivo che viene in mente. Significa essere cauti nelle letture in internet o dei giornali soprattutto se la fonte non è certa. Questo atteggiamento, come nel complesso le abilità da pensatore critico, possono essere applicate anche sui giudizi che produciamo nei nostri confronti ( “non sono capace”, “sono sicuro di riuscirci”, “è certamente così”, ecc.)
Ragionare: da intendere nel senso di “motivare”, è il momento delle domande, dell’atteggiamento da “giornalista”: “Come lo sai?”, “perché?”, “la fonte è credibile?” Ovvero: “perché dovrei fidarmi?”
Alternative: è la parte più interessante e creativa perché si tratta di cercare e, si spera, trovare punti di vista, tesi, idee, opinioni diverse che possano mettere in discussione la solidità dei ragionamenti che stiamo portando a termine.
Alle giuste domande, le giuste risposte
Tuttavia la strategia Reflect, Reason, Alterntives proposta da Ennis non è altro che la versione moderna di un processo che ha radici profonde e lontane nel tempo. Precisamente ad Atene, V secolo a.C. Il pensatore critico si chiamava Socrate e suscitò non poca confusione semplicemente facendo domande alla gente. Domande che riguardavano questioni o credenze date per scontate. Socrate nel momento del dialogo poneva le affermazioni dell’interlocutore in uno stato di epochè (reflect!) e successivamente le confutava, anzi spingeva l’interlocutore stesso a confutarsi da solo ponendogli le giuste domande.
Il pregiudizio di conferma e la falsificazione di Popper
Uno dei fattori che inibiscono il pensiero critico è il pregiudizio. In particolare quello che lo psicologo Raymond Nickerson chiama “pregiudizio di conferma”, ovvero “la ricerca o l’interpretazione di prove in modo che siano favorevoli a esistenti credenze, aspettative o ipotesi del soggetto interpretante”. In altre parole tra le tante alternative siamo portati a considerare con meno criticità (o non riflettere affatto) su quei giudizi che confermano quello che già pensiamo su un argomento.
Lo stesso problema venne colto in contesto scientifico anche dal filosofo Karl Popper agli inizi del ‘900: nel suo libro Logica della scoperta scientifica afferma infatti che quando si intende verificare una teoria scientifica non è sufficiente cercare le conferme, verificarla, è invece necessario falsificarla. Se cerchiamo conferme, la nostra mente starà in allerta per captare principalmente conferme con il rischio di ignorare in modo ottuso tutto ciò che potrebbe falsificare quello che crediamo.
Imparare ad usare il pensiero critico non significa soltanto acquisire una nuova abilità: si tratta di un vero e proprio cambiamento del modo di relazionarsi con tutto ciò che leggiamo, ascoltiamo, vediamo, nonché le affermazioni che noi stessi produciamo in forma di ipotesi, giudizi o opinioni.