Come il controllo del tempo determina l’esercizio del potere nella società.
Nella peggiore distopia come nella più tranquilla delle democrazie, il modo di misurare e vivere lo scorrere del tempo sono un importante indice tanto del controllo che possediamo nella società quanto del dominio che essa ha su di noi.
1984: una distopia temporale
Se oggi il nome Grande Fratello ci porta alla mente, di primo acchito, un superficiale quanto seguito reality show italiano, ad un lettore della seconda metà del secolo scorso avrebbe suggerito tutt’altro scenario. Le telecamere puntate costante addosso potranno essere le stesse, ma l’analogia non può spingersi oltre. Chissà come reagirebbe George Orwell, che per primo ha concepito quel Grande Fratello, nel constatare che il monarca della distopia da lui immaginata nel romanzo 1984 è adesso sinonimo di becero intrattenimento. Chissà se riterrebbe il proprio personaggio indegnamente usurpato o piuttosto, in maniera quasi tragicomica, rinvigorito in questo nuovo ruolo, tanto meglio mimetizzato nel suo regno quanto più in controllo di esso.
1984 infatti è divenuto, per quanto non privo di predecessori, l’emblema più celebre di ogni regime dittatoriale, la distopia per antonomasia, quasi elevandosi a suo archetipo. Esso, scritto all’indomani dell’esperienze del totalitarismo in Europa, descrive una società rigidamente ed ininterrottamente controllata dal Grande Fratello, leader misterioso e mitologico dell’Oceania, uomo ignoto ma a cui vengono attribuiti poteri quasi divini (onnipotenza, onniscienza ed onnipresenza), e dalla sua longa manus (il teleschermo, una tv che trasmette messaggi e sorveglia chiunque nei paraggi, e la psicopolizia, un temibile corpo di sorveglianza). Una società nella quale, sempre osservati, non si è mai soli, ma nella quale al contempo non si ha rapporti sinceri con nessuno. Una società nella quale non solo non c’è spazio per autonomia d’azione, ma nemmeno per autonomia di pensiero. Anzi, nella quale pensiero ed emozioni non sono neppure ammessi. Una società, insomma, nella quale non ci si accontenta del controllo dei corpi, ma si aspra a quello delle anime. Un controllo totale.
Oltre che per mezzo di corpi di polizia, televisioni, videocamere, giornali e dizionari per la riscrittura della lingua, alcuni tra i più efficaci strumenti attraverso i quali il Grande Fratello riesce a mantenere un dominio tanto serrato e capillare sono le pratiche di manipolazione del tempo sociale, ovvero tutti quegli eventi e quelle prassi che scandiscono, su più livelli, il ritmo della vita di ogni membro della società. Ne sono un esempio i 2 minuti d’odio, una ricorrenza quotidiana nella quale, al suono di una campanella, ci si riunisce coi propri colleghi davanti ad uno schermo su cui vengono proiettati per 2 minuti i nemici e le disgrazie dello Stato e contro il quale si riversa fisicamente tutto l’odio per essi. In generale, possiamo constatare come tale manipolazione passi soprattutto dunque dal controllo della routine lavorativa e familiare e dall’istituzione di eventi sociali (quali impiccagioni pubbliche di traditori e celebrazioni in onore di una vittoria o di un cittadino esemplare) che, come un metronomo, tracciano il motivo fondamentale della melodia, dirigendo le attenzioni e le emozioni delle persone in ciascun ruolo della loro vita (padri o madri, mariti o mogli, operai o funzionari) e assegnando un senso alle ore, ai giorni, ai mesi, agli anni. Infine, il tempo sociale viene disciplinato tramite una subdola riscrittura del passato: fedele al motto secondo cui chi controlla il passato controlla il futuro, il partito non solo è la fonte di ogni informazione presente, ma si occupa anche di correggere le erronee previsioni dei notiziari passati, di cancellare dai libri di storia i fatti scomodi e sostituirli con dei “più adatti”, di eliminare ogni testimonianza di versioni diverse da quelle attualmente sostenute: in breve, di modellare la memoria collettiva.
Ecco dunque che Orwell ci mostra come la padronanza di se stessi e il dominio delle anime passi dal controllo del tempo.
Bourdieu e il tempo sociale
I motivi per i quali il tempo è un importante strumento di misura ed esercizio del potere all’interno della società sono ben sviscerati nelle Meditazione Pascaliane dal sociologo francese Bourdieu.
Secondo lo studioso, una società in generale può essere definita come un gioco: essa ha dei giocatori che hanno come investito una quota d’iscrizione per partecipare, ha delle regole che ne definiscono i meccanismi e ha un obiettivo-vittoria che i partecipanti possono conseguire grazie alle loro abilità e ai mezzi a loro disposizione. Viene da sé che, per quanto in realtà Bourdieu ammetta che gli sfidanti non gareggino ad armi pari nemmeno all’inizio, presto o tardi, per merito o per fortuna, comunque alcuni si troveranno in una situazione di superiorità e di vantaggio, mentre altri non progrediranno o addirittura verranno eliminati, così che nel gioco sociale verrà formandosi una gerarchia che i primi cercheranno di cristallizzare e i secondi, finché ne avranno la possibilità, cercheranno di scalare o modificare.
E’ in questo contesto, spiega Bourdieu, che il modo in cui ciascuno fa esperienza del tempo (il rapporto col passato e col futuro,lo scorrere delle ore della giornata, il procedere dei giorni sul calendario) è segno del nostro ruolo all’interno dello scacchiere sociale. Da un estremo della piramide si avranno, scendendo verso il basso, soggetti sempre più passivi, sempre meno in controllo del proprio tempo, con sempre minor margine d’azione e minori aspettative per il futuro, fino a trovare i dannati della terra. Essi, ormai sconfitti e fuori dalla competizione, sono gli emarginati, colori i quali non hanno nemmeno più le minime risorse per collocarsi al fondo della gerarchia e ne sono esclusi. In virtù di ciò, il tempo dei dannati è sempre libero: una libertà però statica e mortifera, caratterizzata dalla mancanza di ogni piccola aspettativa di vita per la quale valga la pena programmare ed attendere il futuro, svuotata di tutte quelle abitudini e riti quotidiani che permettono il contatto col mondo civile. Il tempo libero degli emarginati non è dunque il tempo dello svago o della scholé, quanto piuttosto un eterno vuoto, una spirale senza fondo dalla quale non si può uscire. Al contrario, salendo verso il vertice della piramide, si troveranno giocatori con ruoli sempre più attivi, veri e propri attori sociali. Questi sono, al contrario dei primi, in controllo non solo del proprio tempo, il quale risulta segnato e accelerato da impegni, scadenze e incontri (in questo senso il loro tempo è prezioso e vederselo concedere è un privilegio) da un lato, dall’altro rallentabile a piacimento con vacanze e momenti dedicati a se stessi, ma anche di quello altrui (il professore che si fa attendere, il capo che assegna scadenze, l’amante che crea e distrugge aspettative). Sulle stessa scia si collocano poi tutti quegli eventi sociali privati, civili e religiosi attraverso i quali è la società stessa ad imprimere il proprio modello: celebrare una laurea o una promozione, organizzare un party a casa propria, cantare l’inno nazionale il giorno della festa della Repubblica, partecipare ad una cena di lavoro o prendere parte alla messa domenicale non sono che momenti coi quali misuriamo il passare dei giorni e interagiamo con le persone attorno a noi, mettendo in atto i privilegia della nostra posizione sociale o subendo quelli altrui, secondo le regole che il gioco stesso impone.
In una parola, in ogni contesto sociale il potere si misura con orologi e calendari.
Time out
Con 1984 e le Meditazioni Pascaliane non possiamo non riconoscere, forse con un certo stupore, il silenzioso ma deciso imporsi del tempo sociale nel peggiore dei regimi come nella più tranquilla delle democrazie. Esso ci si para davanti come un muro invalicabile e ci si offre come dispositivo di dominazione contemporaneamente. Che siamo poveri emarginati, ricchi imprenditori, sottomessi a una dittatura o comuni cittadini di un libero Stato, qualunque sia la nostra massima aspirazione nel gioco sociale, allora ciò che rimane universalmente vero è che per mantenere le redini della nostra vita dobbiamo riprendere, qualora fosse finito nelle mani altrui, il controllo del nostro tempo: dobbiamo mettere a frutto il passato delle nostre esperienze, concentrare le nostre energie nel presente, programmare il nostro futuro consapevolmente; dobbiamo, in definitiva, essere orologiai di noi stessi, aumentando il ritmo degli eventi o rallentandolo, prendendoci il nostro tempo, facendo il nostro tempo, senza subire, come in una partita di basket con il time out, quello imposto da altri, chiamandoci letteralmente fuori da esso.