Troppo distratto, troppo assorto, non ti sei accorto che la primavera sbatte i suoi raggi sulla tua finestra. Il 20 Marzo c’è stato l’appuntamento con l’equinozio della stagione celebrata dai più grandi artisti.
Lucrezio, un epicureo che fa un eccezione ingraziandosi Venere, dea simbolo della fecondità e del piacere tipici della primavera. Catullo, edonista, rintraccia nel risveglio della natura il risveglio dell’essere umano stesso. Petrarca fa una commistione tra i due, tra la descrizione del rigoglio primaverile lucreziana e lo schema natura-uomo di Catullo, seppur con esiti diversi. Nelle arti figurative eccellerà poi Botticelli con la sua tempera su tavola.
La primavera e l’astronomia
Ore 4:50 del 20 Marzo, l’equinozio di primavera. E’ il momento del moto di rivoluzione della Terra in cui il Sole si trova allo zenit dell’equatore. Questo significa che un ipotetico osservatore posizionato in un punto specifico sull’equatore vedrebbe il sole esattamente sopra la propria testa. Questo significa che dì e notte hanno pari misura: 12 ore esatte. Questo significa che come il sole rinasce, anche la natura e l’uomo.
La primavera come “festa della natura”
Lucrezio, De rerum natura, proemio, inno a Venere. Il nostro autore non solo è ligie agli schemi imposti dalla tradizione epica che vuole nel proemio l’invocazione a una divinità, ma intende distrarre i lettori passando da una concezione materialistica della vita, in quanto epicureo, alla descrizione di Venere che forma ogni specie vivente. Venere è la dea perfetta per passare in rassegna la festa che la natura fa in primavera, in quanto emblema dei fenomeni che investono la natura e gli uomini: piacere e fecondità.
Progenitrice degli Eneadi, piacere degli uomini e degli dei,
alma Venere, che sotto gli erranti astri del cielo vivifichi
il mare solcato da navi e la terra portatrice di messi,
poiché per opera tua ogni specie di esseri viventi
è concepita e, appena nata, vede la luce del sole.
Te, o dea, te fuggono i venti, te le nubi del cielo
al tuo sopraggiungere, per te la terra ingegnosa
fa nascere fiori soavi, per te ride la superficie del mare
e, tornato sereno, il cielo brilla di un chiarore diffuso.
Infatti non appena si schiude l’aspetto primaverile del giorno
e, liberatosi, prende vigore il soffio fecondatore del favonio,
per primi gli uccelli dell’aria annunciano te ed il tuo arrivo,
o dea, percossi nel cuore dalla tua potenza.
Poi le fiere e gli armenti saltellano qua e là per i pascoli rigogliosi
ed attraversano i fiumi vorticosi: così ogni animale,
preso dal tuo fascino, ti segue avidamente dove tu voglia condurlo.
Infine per mari e monti e per fiumi che travolgono
e per le frondose dimore degli uccelli e i campi verdeggianti,
incutendo a tutti nel petto un dolce desiderio d’amare,
fai in modo che essi, bramosamente, propaghino specie per specie le generazioni.
La fenomenologia della primavera è scorrevole e chiara: la terra è feconda di frutti, i fiori sbocciano e vedono per la prima volta la luce del sole, i venti fuggono e lasciano posto al soffio di Zefiro, il mare sperimenta una condizione di quiete e calma, il cielo risplende di luce diffusa e accoglie gli uccelli che insieme agli altri animali sentono in petto la dolcezza dell’amore che li conduce a desiderare di propagare la loro generazione.
Il dato naturale come “reagente” dell’uomo
Si è risvegliata la natura, anche tu, Catullo, lascia questa terra d’esilio e ritorna a casa. Il poeta è stato costretto a errare per la Bitinia, provincia dell’Asia minore, la primavera diventa la scusa per far ritorno a Roma, la sua patria. E quanto il desiderio sia esasperato si evince dall’espressione “anima trepidante brama”. La dimensione della fenomenologia della stagione si assottiglia in Catullo, che si limita a vergare il dolce spirare dello Zefiro pronto a rimpiazzare il gelo. Questo è quanto si legge nel carme 46:
Già la primavera riporta i miti tepori,
già si zittisce la furia del cielo equinoziale,
al lieto spirare di Zefiro.
Si Lascino, o Catullo, i campi Frigi
e la campagna fertile di Nicea infuocata:
voliamo verso le luminose città dell’Asia.
Ormai l’anima trepidante brama di andare,
ormai i piedi, gioiosi per il desiderio, rinvigoriscono.
Addio, o dolci compagnie di aamici,
che partiti insieme dalla patria per mete lontane
adesso strade varie e per diverse direzioni riportano in patria.
Anche se dentro è inverno fuori sboccia primavera
L’espressione succitata è il sunto del pensiero petrarchesco nel suo sonetto CCCX del Canzoniere.
Zephiro torna, e ’l bel tempo rimena,
e i fiori et l’erbe, sua dolce famiglia,
et garrir Progne et pianger Philomena,
et primavera candida et vermiglia.Ridono i prati, e ’l ciel si rasserena;
Giove s’allegra di mirar sua figlia;
l’aria et l’acqua et la terra è d’amor piena;
ogni animal d’amar si riconsiglia.Ma per me, lasso, tornano i piú gravi
sospiri, che del cor profondo tragge
quella ch’al ciel se ne portò le chiavi;et cantar augelletti, et fiorir piagge,
e ’n belle donne honeste atti soavi
sono un deserto, et fere aspre et selvagge.
Le due quartine lucreziane, le due terzine catulliane. Le prime celebrano infatti la primavera con toni di idillio dato l’effetto vivificante del vento Zefiro, cifra di tutti i poeti finora affrontati; le seconde, col brusco trapasso segnalato dalla congiunzione ma, spostano l’attenzione sull’io del poeta, al quale rimane estranea la gioia dello spettacolo primaverile. L’arrivo della bella stagione in Catullo lo spingeva verso il positivo, Petrarca vive nel contrasto tra la natura che rinasce e lui che lentamente muore a motivo della perdita della sua amata Laura, la donna che ha portato in cielo con sé le chiavi del cuore di lui, destinato a rimanere chiuso per sempre. La consapevolezza della bellezza del mondo esterno diviene per lui fonte di desolazione.
La Primavera (con la p maiuscola)
La Primavera di Botticelli, figlia del Rinascimento italiano, viene fotografata in media duemila volte al giorno, nella Galleria degli Uffizi a Firenze, un simulacro tra il grande santuario della pittura. Un hortus conclusus e un cielo azzurrino che fa da sfondo racchiudono al suo interno molti misteri: figure idealizzate, nove, in una composizione bilanciata ritmicamente e fondamentalmente simmetrica attorno a un perno centrale; ma anche elementi vegetali nascosti, dettagli salienti dell’iconografia. Da leggere da destra verso sinistra, Zefiro, vento di sud ovest e di primavera che piega gli alberi, rapisce per amore la ninfa Clori e la mette incinta; da questo atto ella rinasce trasformata in Flora, la personificazione della stessa primavera rappresentata come una donna dallo splendido abito fiorito che sparge a terra le infiorescenze che tiene in grembo. A questa trasformazione allude anche il filo di fiori che già inizia a uscire dalla bocca di Clori durante il suo rapimento. Al centro campeggia Venere, inquadrata da una cornice simmetrica di arbusti, che sorveglia e dirige gli eventi, quale simbolo neoplatonico dell’amore più elevato. Sopra di lei vola il figlio Cupido, mentre a sinistra si trovano le sue tre tradizionali compagne vestite di veli leggerissimi, le Grazie, occupate in un’armoniosa danza in cui muovono ritmicamente le braccia e intrecciano le dita. Chiude il gruppo a sinistra un disinteressato Mercurio, coi tipici calzari alati, che col caduceo scaccia le nubi per preservare un’eterna primavera. Il dipinto è stato letto in chiave storica, filosofica e legata al committente. Se la Primavera sia stato commissionato da Lorenzo il Magnifico a Botticelli come dono di nozze per suo cugino non è del tutto attendibile ma è evidente un simbolismo legato alla sfera matrimoniale, per quanto riguarda soprattutto la simbologia dei cuori.
Non so se la primavera abbia fatto capolino, oltre che sopra la tua testa, anche nel tuo cuore, ma fa che le tue orecchie odano le più belle poesie sulla primavera e che i tuoi occhi ammirino le pennellate della tiepida stagione!