Dopo la vicenda di banca Etruria, collegata al padre di Maria Elena Boschi, e il caso CONSIP in cui è stato indagato il padre dell’ex premier Matteo Renzi, negli ultimi giorni ad essere finito sotto i riflettori dei media è Antonio di Maio, padre del vice presidente del consiglio. In questa vicenda, venuta alla luce dall’inchiesta giornalistica condotta da Filippo Roma, giornalista delle “Iene”, sembrerebbe che il padre dell’attuale ministro del Lavoro abbia compiuto delle irregolarità nella gestione amministrativa dell’azienda, dei lavoratori dipendenti e di alcune proprietà famigliari. Ancora una volta le “colpe” dei padri ricadono sui figli: in un momento storico in cui la vulnerabilità della leadership politica è messa a repentaglio sempre più spesso da dinamiche ed eventi che con la politica stessa hanno poco a che vedere ma che sono attinenti alla “personalizzazione” del leader.
Abusi edilizi e contratti in nero, sono questi i principali temi che in questi giorni stanno tenendo sulle spine la famiglia di Maio, al centro delle bufera mediatica innescata dall’inchiesta condotta dal programma “Le Iene”. Non è la prima volta che le azioni “di famiglia” ricadono sugli ultimi arrivati: Boschi e Renzi ci sono già passati e Luigi di Maio non sarà certo l’ultimo a dover fare i conti con gli scheletri nell’armadio famigliare. Ad ogni modo ognuno di questi casi è accomunato da un fattore chiave.
In politica, specie al giorno d’oggi in cui social network e riprese in diretta mantengono sempre vivo il contatto con gli elettori, la figura del leader deve fare sempre maggiore attenzione a come muoversi, a cosa dire e a come dirlo. È il risultato della “personalizzazione della politica“.
Dopo aver brevemente rappresentato i principali casi di interferenza famigliare nel mondo politico italiano, si vedrà come e perché le nuove forme di rappresentanza politica possono rappresentare un pericoloso avversario per i leader politici di oggi.
Il caso Boschi
Il decreto “Salva Banche”
È la fine di novembre 2015 quando il governo Renzi approva il cosiddetto “salva banche”, un decreto legge ad hoc voluto per impedire il fallimento di quattro piccole banche italiane. Lo scopo del decreto era quello di salvaguardare i lavoratori dipendenti delle banche, ma anche le imprese che avevano richiesto dei prestiti e, in generale, il sistema finanziario italiano. Per una chiara spiegazione del decreto si legga l’articolo del quotidiano “Il Post”.
Il caso Banca Etruria
In una delle banche “sanate” dal decreto lavorava il padre di Maria Elena Boschi, all’epoca (2015) ministra. Lo “scandalo” mediatico è nato quando alcuni membri dell’opposizione, in particolare esponenti del Movimento 5 Stelle, hanno accusato la Boschi di aver utilizzato i propri poteri per salvare la banca del padre dal fallimento. Pressioni che hanno chiamato in causa altri soggetti: dalla banca Unicredit (a cui la Boschi avrebbe esposto la propria preoccupazione riguardo lo stato di Banca Etruria), ai vertici di CONSOB (Commissione nazionale per le società e la Borsa); negli anni nuove elementi si sono aggiunti alla vicenda facendo vacillare la solidità della posizione della Boschi.
In questo caso il padre della ministra era stato espulso dal CdA di Banca Etruria quando questa è stata commissionata dal governo Renzi nel 2015, facendo ricadere gli “oneri” del salvataggio anche sulla figlia.
Il caso Renzi
La vicenda che riguarda Tiziano Renzi, padre dell’ex premier è invece più complicata poiché deve essere analizzata all’interno di un inchiesta più ampia, il caso CONSIP.
La CONSIP è la società di proprietà del ministero dell’Economia e delle Finanze che si occupa di appalti per la pubblica amministrazione in Italia. L’inchiesta è nata nel 2016, cioè quando alcune indagini hanno rivelato delle stranezze relative all’affidamento degli appalti pubblici.
Al centro dell’inchiesta, pertanto, non c’era Tiziano Renzi, bensì una fuga di notizie che avrebbe informato l’ex AD di CONSIP, Luigi Marroni, della presenza di alcune microspie nel suo ufficio: secondo la testimonianza dello stesso ai magistrati, l’ex AD sarebbe stato informato da vertici dell’arma dei Carabinieri e altri personaggi legati all’ambiente. Successivamente Tiziano Renzi viene coinvolto nella vicenda, accusato di aver “mediato” sull’affidamento degli appalti. Tali elementi però, sono stati confutati nel corso dell’indagine: il padre di Renzi, secondo gli inquirenti, sarebbe stato “incastrato”, anche alterando le intercettazioni, per far assumere una rilevanza nazionale (e politica) al caso CONSIP.
Non a caso, le indagini su Tiziano Renzi sono giunte alla conclusione proprio in questi giorni quando i procuratori hanno notificato l’istanza di chiusura delle indagini al padre dell’ex premier, pur sottolineando il fatto che quest’ultimo avrebbe fornito delle dichiarazioni non credibili e una “inverosimile ricostruzione dei fatti”.
Il caso di Maio
La vicenda dei contratti irregolari
Risale a circa due settimane fa la pubblicazione dell’inchiesta condotta dai giornalisti delle “Iene” Filippo Roma e Marco Occhipinti riguardante i rapporti lavorativi tra il padre di Luigi di Maio, Antonio, e alcuni suoi dipendenti che hanno dichiarato pubblicamente di essere stati pagati in nero durante il periodo lavorativo che va dal 2008 al 2010.
L’inchiesta prende vita grazie alla testimonianza di un operaio che avrebbe lavorato per la ditta edile di Antonio di Maio, l’Ardima SRL. Ciò che emerge, confermato anche dallo stesso vicepremier in seguito agli accertamenti condotti, è che 4 operai avrebbero lavorato in nero per l’azienda del padre e che ad uno di questi, in seguito ad un infortunio sul lavoro, fosse stato chiesto da Antonio di Maio di non dichiarare che l’incidente fosse avvenuto in ambito lavorativo per non incorrere in gravi sanzioni.
Il ministro del Lavoro ha affermato di non essere a conoscenza degli eventi accaduti e di voler far chiarezza sulla vicenda pur “non prendendo le distanze” dal padre. Successivamente infatti sia il padre che il figlio hanno confermato di aver assunto in quel periodo alcuni operai edili senza alcun contratto di lavoro.
Il caso degli abusi edilizi
Nella terza puntata dell’inchiesta condotta dalle due “Iene” è emerso che alcuni terreni in possesso della famiglia del vice premier sarebbero abusivi. Nel video mostrato dalla trasmissione di Mediaset si vedono degli edifici che in realtà non compaiono sulla mappa catastale e che sembrano essere successivi al 2008 (nella foto satellitare di google maps del 2008 tali fabbricati non compaiono, in quella più recente invece si).
La procura di Nola ha così aperto un fascicolo per abusivismo edilizio; intanto i vigili urbani hanno posto sotto sequestro l’intero terreno per procedere alla demolizione degli edifici.

La personalizzazione della politica
Questioni famigliari che sarebbero altrimenti passate in sordina diventano motivo di preoccupazione ed imbarazzo perché rivolte ad esponenti politici e perciò utilizzate strumentalmente per indebolire la figura del leader. Questi tre esempi sono solo alcuni dei casi in cui le azioni dei famigliari ricadono sui figli; azioni di cui i media vanno a caccia come segugi, non tanto per la rilevanza dello scoop ma per il conseguente “caos da social network” che vanno ad alimentare. Così anche il padre di Alessandro di Battista o il presidente della Camera Fico sono stati colpiti dal boomerang di “questioni di famiglia”.
La risonanza mediatica provocata da tali informazioni è senza dubbio una peculiarità di un nuovo modo di fare politica che va definendosi dall’avvento della Seconda Repubblica, per essere precisi, con l’ascesa di Silvio Berlusconi a presidente del Consiglio dopo il 1992.
La genesi del leader politico
Durante gli anni della Guerra Fredda i riferimenti politici, almeno in Italia, erano costituiti da partiti politici in toto (DC, comunisti, socialisti ecc.): i contatti con gli elettori erano veicolati più da slogan e ideali che da comparse in pubblico o dichiarazioni di singoli individui. Si profilava pertanto una connessione tridimensionale con gli esponenti politici. C’era il leader, che deteneva le redini del partito, ma sullo stesso livello erano predominanti gli ideali storicamente definiti del partito stesso: per fare un esempio, se alcuni democristiani simpatizzavano per Aldo Moro, pur non condividendo la sua posizione politica, ce n’erano degli altri che invece sostenevano gli ideali della Democrazia Cristiana pur non vedendo in Aldo Moro il leader adeguato. In altre parole il rapporto cittadino\elettore – partito\leader produceva diversi stili di rappresentanza politica e alimentava la differenziazione tra figura politica e ideali di partito. Chiaramente ciò non esclude il fatto che le gesta degli attori politici avevano un notevole impatto sull’opinione pubblica (basta guardare la vicenda di Craxi o la forte figura di Andreotti), ma la differenza è che tali attori politici non adottavano tale stile comunicativo per scelta, più che altro ne venivano influenzati dall’esterno poiché, per certi versi, l’ancoraggio al partito risultava predominante.
Le cause della personalizzazione…
Questo cambio di paradigma è correlato alle nuove dinamiche che hanno contribuito alla diffusione della figura del leader come vero e proprio capo del partito:
- La diffusione di mezzi di comunicazione che permettono il raggiungimento della platea di elettori in maniera più semplice e più veloce: facebook, twitter, instagram, ma anche dirette televisive, video “home – made” e, in generale, qualsiasi canale interattivo di comunicazione indiretta.
- La necessità di dover veicolare slogan elettorali più immediati e quindi più diretti al pubblico: una rivoluzione dello stile comunicativo del partito che affida al leader l’ideale politico da rappresentare “mettendoci la faccia”, ma anche la voce e i movimenti.
- La nascita di meccanismi di relazione internazionali che connettono, più che i partiti, i leader politici: la globalizzazione come intensificazione delle relazioni tra leader.
… e le conseguenze
Come si è accennato, il primo ad utilizzare a proprio vantaggio tale metodo di “personalizzazione politica” è stato Silvio Berlusconi con Forza Italia.
Dopo Tangentopoli Berlusconi ha colto in pieno la necessità di rivoluzionare il contatto con gli elettori, utilizzando radio e televisione come strumenti per la diffusione del proprio carisma.

Come si può vedere dalla foto, il contenuto simbolico dell’immagine è immediato e fortemente rappresentativo. Berlusconi “ci mette la faccia”, sorride. Ricrea intorno a sé un clima di serenità e appartenenza nazionale facendo della propria figura politica un partito.
L’applicazione della personalizzazione ha condizionato anche i nuovi leader politici. Se Berlusconi è stato il primo e, probabilmente, anche il più abile nel farlo, il resto della destra e, con il tempo, anche della sinistra, ha adottato questo nuovo metodo di rappresentanza.

Si è venuto a formare, di conseguenza, un nuovo cittadino politico: quello “personalizzato”. Mentre prima l’etichetta sotto alla quale si immedesimava l’elettore medio era di appartenenza al partito (comunista, democristiano, socialista, repubblicano; nessuno si professava “Craxiano” o “Berlingueriano”) nel nuovo millennio la personalizzazione ha modificato gli assetti: ora la rappresentanza è ad personam con l’elettore medio Salviniano, Renziano, Grillino ecc. È il politico a ricreare intorno a sé la figura del leader e, indirettamente, a dover fare i conti anche con le interferenze che ruotano attorno alla sua sfera personale (famiglia, amicizie, rapporti). Nel bene e nel male quindi, il nuovo rapporto tra elettore e politico è molto più delicato di quanto non lo fosse in precedenza ed ha assunto dei connotati anche preoccupanti.
Se la personalizzazione ha consentito ai politici di adottare uno schema comunicativo più semplice ed immediato ha però contribuito alla nascita e alla diffusione di uno scenario malsano e propagandistico della politica: il populismo.
Gian Marco Renzetti