Vuoi organizzare il festino del secolo? Allora imita gli antichi romani!

Dopo un anno di pandemia in merito a ‘festini’ siamo tutti un po’ arrugginiti. Tuttavia abbiamo dalla nostra parte Giovenale, che ci insegna ad organizzare il festino perfetto. 

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Giovenale, autore satirico vissuto in età traianea, assume un tono fortemente polemico verso l’abitudine romana di organizzare feste e banchetti sfarzosi. Dall’altra parte riesce comunque a fornire un ritratto fedelissimo dei folli e stravaganti costumi adottati dai romani nei convivi, sopratutto nella Satira quinta. Scopriamo come si divertivano i nostri antenati.

1. Gli invitati

Per organizzare una festa che funzioni la prima cosa da fare è selezionare gli invitati. Noi oggi scegliamo di invitare amici, conoscenti, persone vivaci che possano ravvivare l’atmosfera, magari lasciando a casa i più smodati, che potrebbero rubarci tutta l’attenzione o rovinare il vecchio mobile a cui nostra madre è tanto affezionata. Ma come funzionava per i romani? È attestato che il numero ideale di invitati alle cene romane fosse nove. Ogni padrone di casa disponeva infatti di tre divani da tre posti l’uno. Ciascun divano determinava il ruolo sociale di chi lo occupava: si distinguevano tra imus, medium e summus.

Nove invitati può apparire un numero ridotto, un festino poco esigente, tuttavia abbiamo testimonianza di cene romane ben più affollate e caotiche. Gli ospiti scelti provenivano da qualunque categoria sociale, figuravano i liberti, cioè gli schiavi liberati, i clienti, che avevano una relazione di dipendenza verso il padrone e i cui favori erano ricambiati attraverso gli inviti alle cene, e i personaggi illustri, fortemente voluti dal padrone affinché potesse fare sfoggio delle proprie ricchezze e cultura dinanzi a loro.

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2. Il vino: il re della festa

“No vino no party”, così esordirebbe qualunque romano a casa di astemi. Il vino è infatti una componente fondamentale della cultura italiana, la coltivazione della vite e la produzione di vino è una pratica antichissima nel nostro territorio. I romani ne facevano largo uso e, alle cene, ogni commensale era tenuto a rispettare precise regole per la sua assunzione. Innanzitutto era necessario seguire i dettami del ‘magister bibendi‘, un uomo incaricato di distribuire le quantità di vino fra i commensali e stabilire con quanta acqua dovesse essere allungato. Un ruolo che oggi a qualunque festino sarebbe ambitissimo ma, ahimè, il magister bibendi era altresì tenuto ad astenersi dal bere.

Alle feste romane però non esisteva parità o eguaglianza sociale. Erano infatti serviti vini di qualità differenti. Per gli ospiti più rispettabili e il padrone di casa era riservato il vino più invecchiato e pregiato. Mentre per clienti e liberti era predisposto un vino scadente, che ottenebrava facilmente. “Vinum quod sucida nolit lana pati“, letteralmente “un vino che la lana grassa non potrebbe sopportare”, due mezzi esametri usati da Giovenale per chiarire la scarsità di pregio di quel vino. La lana ‘grassa’ era infatti quella non trattata, solitamente usata come cotone e imbevuta di aceto per medicare le ferite. Dunque il vino concesso agli ospiti più umili era persino peggio dell’aceto!

Perciò bere vino con i romani era tutt’altro che rilassante. Esisteva persino un’unità di misura specifica per stabilire quanto vino i coppieri dovessero versare: il ‘ciato‘, un particolare mestolo.

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3. Il padrone di casa

L’intera organizzazione della festa non spettava certo al padrone di casa. Egli aveva al suo seguito una squadra di schiavi e cuochi che lavoravano per lui. Nemmeno ricordare il nome di tutti gli invitati era un problema, per questo c’era la figura del ‘nomenclator‘, un membro della servitù incaricato esclusivamente di ricordare i nomi dei presenti.

In queste condizioni, chiamare il catering, sistemare casa e cucinare non sarebbe più una preoccupazione per gli organizzatori di feste di tutto il mondo. In più, con un nomenclator al nostro fianco, non saremmo nemmeno tenuti a compiere il tremendo sforzo di ricordare il nome di tutte le persone a cui ci siamo presentati all’inizio della festa, cosa difficilissima perché eravamo sicuramente concentratissimi a dire bene il nostro.

4. I romani giocavano a beer pong?

Tante persone, vino e cibo. Eppure a questo festino manca ancora qualcosa…ma certo, il divertimento! I romani sapevano come divertirsi. Amavano spettegolare e diffondere maldicenze poetiche, assistevano a spettacoli e deridevano gli altri invitati. Nella Satira quinta di Giovenale, l’aspetto dell’intrattenimento è assente, ma comprendiamo presto perchè. L’oggetto delle risa dei presenti erano, infatti, i clienti, che venivano sbeffeggiati e derisi come fossero ‘scurra‘, cioè coloro che alle cene rivestivano il ruolo di buffoni.

Era una pratica poco galante da parte degli ospiti eppure qualcosa dovevano inventarselo in assenza del beer pong o del gioco dell’oca alcolico. Nulla toglie che abbiamo dei progenitori vivaci e per nulla noiosi, adesso sta a noi portare avanti le antiche tradizioni con festini memorabili!

(unbuendiaenmadrid.com)

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