Dick Cheney è stato tanto sconosciuto quanto potente, vice presidente durante i due mandati di George W. Bush e teorico della disastrosa geopolitica post 11 settembre. Per rimediare all’oscurità che circonda una personalità così decisiva della politica repubblicana, il democratico Adam McKay inventa molteplici stratagemmi.
Nel mostrare il personaggio, McKay non intende costruire un biopic, bensì imporre allo spettatore qualcosa di sufficientemente mostruoso –l’immagine di un cuore morto, bestie metaforiche ecc.– per far luce sulla colpevole oscurità dietro la quale si è sempre celato Cheney.
Vice presenta tutta l’audacia di un’acuta narrazione partigiana. Il fulcro è l’ascesa di Bush jr. (Sam Rockwell), mostratoci come un coglionazzo di cui Cheney è il puparo, e il momento-clou è l’attacco alle Torri Gemelle, in cui, dice il film, Dick «vede un’opportunità», e la sfrutta appieno.
Non mancano i rapporti con la multinazionale petrolifera Halliburton, il marketing per “vendere” misure fiscali inique (basta chiamare Death Tax la tassa sulla successione, o Climate Change il riscaldamento globale, e il gioco è fatto), la teoria dell’Unitary Executive che accentra ogni potere nelle mani del presidente, la vittoria truffaldina contro Al Gore, le bugie sulle armi di distruzione di massa in Iraq, l’insabbiamento delle notizie su Al Zarqawi che involontariamente favoriscono la creazione dell’Isis.
Se le invettive contro Cheney non sono una novità, la mise en place aggressiva in un lungometraggio che mixa archivio storico, voice over sarcastico e performance di giganti della recitazione come Christian Bale, è qualcosa di assolutamente inedito e a larghi tratti piacevole.
Il tono indeterminabile di Vice, tra il tragicomico, il j’accuse veemente e il documentario storico, impedisce che la narrazione scada in un mero resoconto storico a fini didattici o, più semplicemente, nel puro tono grottesco della più classica commedia americana. L’interpretazione di Bale è l’oggetto più indefinito. Bale abita il corpo di Cheney, in una performance impressionante ma allo stesso tempo calma, sicura di sé, come fosse una pietra intorno a cui turbina la corrente.
In definitiva, Vice è una satira, ben fatta, che si pone il fine di provocare un’amara risata e di estremizzare il suo oggetto. Il film si spinge in una satira della società americana impoverita economicamente e moralmente, assorbita dall’intrattenimento e dallo sballo, incapace di fronte a una politica labirintica.
Ci sono passaggi ferocissimi, di pura misantropia, dove l’abbrutimento e l’idiozia degli americani (ma vale in fondo per tutto l’occidente democratico) emergono prepotentemente, grazie a stacchi di montaggio extradiegetici. Il motivo più ricorrente è quello della pesca che Cheney praticava e i cui ami con esca punteggiano il film, sottolineando come il protagonista tenda le proprie trappole.
I mutamenti politici innescati da Cheney, tra cui spicca la nascita di Fox News con la morte della par condicio, sono visti come il germe da cui prende il via la deriva destrorsa dell’America (ma non solo) contemporanea, con un dilagare di falsità o, per dirla come Trump, di “fatti alternativi”.
Del resto durante la Presidenza Bush è stata fatta una guerra sulla base di informazioni falsate riguardo armi di distruzioni di massa in Iraq e sono stati coniati raccapriccianti eufemismi, come “interrogatorio potenziato” per indicare in pratica la tortura senza nominarla mai.
La cosa più sorprendente di questa biografia di Dick Cheney è, infatti, che Adam McKay ha assimilato in profondità il principio di incertezza e intederminazione che ha investito le narrazioni della realtà dopo l’esondazione della post -verità nel mondo dei social media.
Un’epica al contrario al cui confronto Big Short sembra quasi fin troppo “classico”, Vice è in grado di passare dai finti titoli di coda a un terzo della visione a 10 minuti di dialogo con i versi del teatro elisabettiano, dalla gag del cameriere che fornisce le prossime leggi reazionarie nel menu alla fantomatica sequenza musical poi tagliata dal montaggio finale.
Infine, la somiglianza formale di Vice con i matraquages complottasti che fioriscono su YouTube o i film propaganda di ultra-destra di Steve Bannon, fanno della pellicola una sorta di risposta, con le stesse armi ma con l’aggiunta dello humor, alle macchinazioni ideologiche dell’alt-right. Siamo davanti a un nuovo modello ci cinema “militante”?
Daniele Farruggia