La più grave malattia del nostro millennio sembra essere l’invecchiamento precoce di oggetti… e soggetti.
Eppure la lampante degradazione delle cose a cui siamo tanto abituati è un fenomeno contingente o volontariamente indotto? Ce lo spiegano il filosofo ed economista Serge Latouche e Willie Peyote.
“L’obsolescenza programmata è una risorsa…”
All’inizio degli anni ’50 si cominciava a parlare di un nuovo meccanismo, nato con l’avvento della società dei consumi, che consisteva nel determinare il “termine di vita” degli oggetti, definendo con più precisione la loro durata e resistenza.
Il fenomeno fu chiamato obsolescenza programmata e fu a lungo studiato ed analizzato da sociologi, filosofi ed economisti. Si tratta di un elemento cardine nella società consumistica, in cui il deterioramento del prodotto permette il continuo rigenerarsi di un’economia fondata su futili bisogni. Il filosofo Serge Latouche nel saggio “Usa e getta” descrive il fenomeno con chiarezza:
“La società industriale una volta saturati i mercati, entrerebbe in crisi se gli oggetti non dovessero essere sostituiti con una certa frequenza. Ecco perché, già dagli albori dell’industrializzazione di massa, teorici e imprenditori si pongono il problema del tasso di sostituzione degli oggetti. La risposta è l’obsolescenza programmata. Bisogna smettere di produrre merci durevoli, che rasentano l’indistruttibilità come la mitica Ford T o la lampadina a filamento di carbonio di Edison, accorciando in qualche modo la loro durata”
Difatti, producendo merci meno durevoli sarà necessario l’acquisto di nuovi prodotti… e così via, all’infinito!
È così dunque che tutti i prodotti sul mercato hanno iniziato lentamente ad avere una data di scadenza partendo dagli elettrodomestici, le automobili, fino ad arrivare agli alimenti, sui quali viene indicata una data di scadenza anche quando non necessaria ed inesistente!
Tutto sembra destinato ad un’inevitabile e sempre più rapida degradazione: le mode passano ad un ritmo accelerato, spingendoci a ricercare continuamente la novità e i materiali sono sempre più scadenti. Ma questa rapida degradazione riguarda solo gli oggetti oppure anche l’uomo ne è vittima?
“…anche nelle relazioni personali…”
Nel suo ultimo concept album, “Iodegradabile”, Willie Peyote avanza una forte critica della realtà contemporanea descrivendola attraverso un connubio di tempo che scorre inesorabile, consumismo sfrenato e superficialità.
Il brano “Catalogo” incarna particolarmente bene queste opinioni, attraverso sottili ed acute critiche alle quali nessuno sembra potersi sottrarre. Il problema dell’obsolescenza programmata sembra aver raggiunto oggi il suo limite massimo, riuscendo a giungere ai soggetti, rendendoli simili ad oggetti di consumo. Vi è infatti un’analogia tra oggetti e soggetti, che sembrano fondersi in questo brano per essere appiattiti a mera merce, appunto, catalogabile.
“Tutto è bene quello che finisce
Uno nuovo mi sostituisce
Ora che tutto invecchia prima
Dalla sera alla mattina”
In questa breve strofa, le semplici affermazioni potrebbero appartenere tanto ad un oggetto quanto ad un soggetto, che così come un paio di scarpe vecchie, può essere rapidamente sostituito.
L’analogia viene successivamente palesata:
“L’obsolescenza programmata è una risorsa
Anche nelle relazioni personali”
Ed è così che viene annunciata definitivamente l’oggettificazione dell’individuo, inerme vittima di un sistema capitalistico e consumistico, che egli arriva, forse inconsciamente, ad introdurre nei suoi rapporti interpersonali.
Sempre più stanchi ed annoiati dalle persone, così come dagli oggetti, siamo presto spinti a cercare nuova merce in un catalogo, di cui noi stessi siamo diventati parte.

“Tutto è bene quello che finisce… bene?”
È quindi possibile, in questa realtà di costante degradazione, ipotizzare una svolta o addirittura un lieto fine?
Latouche nel suo saggio propone alcune alternative interessanti che ci permettano di sfuggire al sistema capitalistico ed all’obsolescenza programmata, in particolare.
Si potrebbe, ad esempio, puntare su prodotti di qualità e sul riutilizzo ed il rinnovamento di vecchi oggetti.
Tuttavia, Willie Peyote, d’inclinazione più pessimista (… e forse realista) sembra essersi piuttosto rassegnato alla realtà immutabile dei fatti, annunciando ironicamente in una logica capitalista:
“Tutto è bene quello che finisce”