Tra pioggia e incontri straordinari: scopriamo la magica Parigi di Woody Allen

Parigi, la città in cui Calvino vedeva “ milioni di uomini (che) rincasano ogni giorno impugnando un filone di pane”, in cui noi vediamo Amore camminare per le boulevard, in cui Woody Allen ha visto l’Arte sedere nei café.

Guardiamo da vicino i folli anni ‘20 parigini attraverso alcuni dei suoi protagonisti che, tra un ballo e un bicchiere di champagne, hanno ispirato la mente di Woody Allen.

I CONIUGI FITZGERALD

Francis Scott Fitzgerald non ha certo bisogno di presentazioni: autore di grandissimi capolavori, è considerato l’autore più rilevante della cosiddetta “età jazz” nonché uno dei più influenti del XX secolo. Ma, si sa, accanto ad un grande uomo c’è sempre una grande donna che, in questo caso, si chiama Zelda Sayre Fitzgerald. Woody Allen nella sua pellicola restituisce esattamente l’immagine che noi tutti ci siamo fatti su di loro: belli, innamorati, colti, alla moda e perfettamente inseriti nell’epoca, come se quei folli e ruggenti anni ‘20 fossero stati cuciti su di loro. Lui aveva l’aria del misterioso nouveau riche, lei era un mix di vitalità e sregolatezza: Zelda è considerata una delle prime donne a far suoi abiti e consuetudini maschili, oltre che regina degli eventi mondani, tutte caratteristiche che Woody Allen descrive molto bene. I due, come Jay Gatsby e Daisy vissero e consumarono la fiamma del loro amore che, purtroppo,  non era destinata ad ardere per sempre allo stessa intensità: dopo un lungo soggiorno in Costa Azzurra in cui lui era troppo preso dalla stesura del suo capolavoro e lei dall’aviatore Edouard Jozan, Zelda chiese il divorzio non concesso però da Scott. Il loro rapporto era ormai irreparabilmente rotto ma i due continuarono a farsi vedere felicemente insieme per anni finché a Zelda fu diagnosticata la schizofrenia. Scott rimase con lei finché non lo colse la morte che sopraggiunse all’improvviso nel 1940; Zelda morì invece nel 1948, vittima dell’incendio che distrusse l’ospedale in cui si trovava.

GERTRUDE STEIN

Nata a Pittsburgh nel 1874, Gertrude Stein è stata una personalità centrale nel dibattito artistico e letterario della prima metà del Novecento. Si trasferì stabilmente a Parigi dove visse sino al 1946, anno della sua morte, e dove incontrò la compagna della sua vita Alice Toklas, anch’essa molto attiva negli ambienti letterari dell’epoca. A Parigi assieme al fratello Leo, importante critico d’arte, diede vita a una delle prime collezioni d’arte cubista proponendo, tra le altre, le opere di Picasso, Matisse e Derain.  È in questo modo che lo studio di rue de Fleurus 27 divenne un punto cardine per le più importanti personalità artistico-letterarie dell’epoca tra cui Ezra Pound, Ernest Hemingway, Pablo Picasso e Georges Braque. Nella pellicola di Woody Allen, Gertrude Stein sembra essere una nuova Mecenate attorno alla quale orbitano tutti quelli che ad oggi sono considerati gli artisti più influenti della storia e che a lei piaceva chiamare “generazione perduta”.

ERNEST HEMINGWAY

Originario di un piccolo villaggio dell’Illinois, Ernest Hemingway è considerato uno degli autori più influenti della letteratura americana del secolo scorso. L’esperienza che più di tutte ha segnato l’innocenza del suo animo d’artista e ispirato la sua mente, è stata la prima guerra mondiale, evento che ha vissuto da protagonista arruolandosi come volontario nel Corpo di spedizione statunitense. Dopo essere stato quasi ferito a morte dalle schegge di due bombe  sul fronte italiano, Hemingway tornò negli Stati Uniti per poi trasferirsi a Toronto dove venne introdotto dai coniugi Connable nella redazione del Toronto Star, il quotidiano di più ampia diffusione dell’America Settentrionale. Intorno ai primi anni ‘20 fu inviato come corrispondente in Francia, Spagna e Svizzera, per poi decidere di stabilirsi a Parigi dove, grazie all’intercessione di Gertrude Stein, entrò in contatto con James Joyce, Ezra Pound, Scott Fitzgerald e tanti altri.  È qui che “Papa” inizia la sua carriera letteraria, ispirato dalla Parigi dell’epoca, Musa di alcune tra le personalità più importanti della storia artistica mondiale. Il suo primo romanzo “Il sole sorge ancora” pubblicato nel 1926 fu da subito un grande successo, a dispetto delle difficoltà del percorso autoriale che vide come protagonista la redattrice di Vogue Pauline Pfeiffer, che divenne ben presto la sua amante. È così che il suo matrimonio giunse al termine ma, non contenta, la sorte aveva in serbo per lui piani ben peggiori. Nel 1928, dopo la pubblicazione di “Addio alle armi”, il padre di Hemingway morì suicida a causa dei debiti, facendo così sprofondare l’autore nel baratro dell’alcol e in una perpetua sfida alla morte. La vita di Hemingway procedette tra un viaggio e un altro, la guerra civile spagnola, la seconda guerra mondiale,un premio Pulitzer, un Nobel e la depressione che lo portò al suicidio il 2 luglio 1961.

LUIS BUÑUEL

Spagnolo di nascita naturalizzato messicano, Luis Buñuel è stato uno dei maggiori registi surrealisti di tutto il secolo scorso. Come i suoi compagni scrittori e pittori, Buñuel era interessato a scovare e rappresentare la “sur-realtà”, una dimensione a metà strada tra l’onirico e l’irrazionale, indagando la  profondità e la complessità della psiche. È assieme a lui che la settima arte diviene un mezzo di diffusione di quelle teorie freudiane che all’inizio del Novecento avevano indignato la compagine dei seriosi psicologi, ed ispirato le anime dei folli artisti. Si distinguono tre momenti della produzione di Buñuel: quello spagnolo, strettamente legato alla realtà onirica e surrealista; quello messicano, più vicino al gusto comune e forse il periodo più significativo della sua arte; quello francese, inevitabilmente ispirato da una Parigi magica, tra sogno e realtà. La sua prima pellicola “Un chien Andaluo” scritta a quattro mani con il collega e amico Salvador Dalì, è considerata dai più il Manifesto del Surrealismo audio-visivo: qui il regista mette in scena per la prima volta una situazione definita da alcuni “relazione onirica senza un apparente nesso”, dai tratti macabri e misteriosi che trasportano lo spettatore in una dimensione a cavallo tra razionalità e irrazionalità. Molti tra i più autorevoli critici dell’epoca hanno cercato inutilmente di rintracciare il senso della pellicola, totalmente lontana dalle regole della logica narrativa classica. Lo stesso Buñuel riconosce questo aspetto della sua arte, suggerendo che la vera chiave di volta risieda proprio nella nuova lettura di un nuovo linguaggio artistico, svincolato dall’hic et hunc e protagonista di una dimensione nuova ancora da esplorare.

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