Kaing Guek Eav è morto nella notte tra l’uno e il due settembre in un ospedale all’età di 77 anni. Condannato all’ergastolo per crimini contro l’umanità, viene ritenuto responsabile della morte di almeno 14mila cambogiani.
Il criminale si trovava ricoverato presso un ospedale di Phnom Penh, la capitale cambogiana, ed era conosciuto anche con il soprannome di “compagno Duch”. Storicamente viene considerato uno dei criminali di guerra più feroci della storia, avendo agito nella prigione di Tuol Sleng, tristemente nota proprio per le indicibili torture a cui venivano sottoposti coloro che lì vi venivano rinchiusi.
Il Genocidio Cambogiano
Con genocidio cambogiano e di minoranze etniche e religiose cambogiane o autogenocidio cambogiano ci si riferisce al processo di epurazione del popolo cambogiano avvenuto tra il 1975 e il 1979, ovvero nell’arco dell’esistenza della Kampuchea Democratica, sotto la dittatura comunista di Pol Pot. La storiografia ha appurato che durante l’esistenza della Kampuchea Democratica sono stati uccisi da 1,5 a 3 milioni di cambogiani. Per le proporzioni del fenomeno e l’impatto sulla popolazione complessiva, il genocidio in questione può essere considerato come un caso unico e senza precedenti nella storia dell’umanità. I khmer rossi volevano trasformare il paese in una repubblica socialista agraria, fondata sui principi del maoismo. Nel 1976 i khmer rossi cambiarono il nome del paese in Kampuchea Democratica. Per realizzare i loro obiettivi, essi svuotarono le città e costrinsero i cambogiani a trasferirsi nei campi di lavoro nelle campagne, dove avvenne una gran quantità di morti per esecuzioni di massa, lavori forzati, abusi fisici, malnutrizione e malattie. Ciò provocò la morte di circa il 25% della popolazione totale della Cambogia. All’incirca 20.000 persone passarono attraverso il centro di tortura di Tuol Sleng, una delle 196 prigioni gestite dai khmer rossi, e solo sette adulti sopravvissero. Gli oppositori venivano portati nei Killing Fields, dove venivano giustiziati (spesso con attrezzi contadini come picchetti o asce, per risparmiare proiettili) e sepolti in fosse comuni. Il rapimento e l’indottrinamento dei bambini era diffuso e molti bambini e ragazzi, nel pieno della loro incoscienza e immaturità, ignari di ciò che facevano, erano persuasi o costretti a commettere veri e propri atti di sadismo.
Le dure condanne del diritto internazionale
Nel 2003, grazie ad un accordo tra Nazioni Unite e governo della Cambogia, fu istituito un tribunale speciale con l’obiettivo di processare gli ultimi dirigenti dei Khmer rossi. Il 16 novembre 2003 il tribunale ha condannato all’ergastolo i due ultimi dirigenti del regime ancora in vita, per genocidio e crimini contro l’umanità. Si tratta del “fratello numero 2” Nuon Chea, 92 anni, vice e braccio destro di Pol Pot, e di Khieu Samphan, 87 anni, ex capo di stato della Kampuchea Democratica, nome con cui il regime aveva battezzato l’attuale Cambogia. È la prima volta che il crimine di genocidio viene riconosciuto a proposito delle violazioni di massa dei diritti dell’uomo compiute dai Khmer rossi tra il 1977 e il 1979. I giudici hanno identificato due diversi genocidi: il primo contro la minoranza vietnamita e il secondo contro l’etnia cham, di religione musulmana. A quasi quarant’anni dalla caduta del regime, Nuon Chea e Khieu Samphan sono stati giudicati entrambi responsabili per il primo, mentre solo Nuon Chea è stato ritenuto colpevole del genocidio dei cham. Kaing Guek, invece, l’ultimo dei capi torturatori, aveva ottenuto l’ergastolo nel 2012.
Un episodio che ha aperto gli occhi al mondo
Dal 1948, anno della sua adozione da parte della Convenzione di Ginevra, il crimine di genocidio era stato riconosciuto dai tribunali internazionali solo nei casi dello sterminio dei tutsi in Ruanda nel 1994 e dei bosniaci a Srebrenica nel 1995. Secondo il vicedirettore della sezione Asia di Human rights watch, Phil Robertson, questa condanna sanciva definitivamente che in quegli anni era stato perpetrato un genocidio mentre il mondo guardava da un’altra parte. Si trattava di un evento fondamentale per la giustizia internazionale. Gli ex Khmer rossi erano stati riconosciuti colpevoli anche di reati di sterminio, schiavitù, deportazione, reclusione, tortura, persecuzione per motivi politici, religiosi o razziali, sequestri e stupri di massa (per via della politica dei matrimoni forzati). L’università di Yale stimava che tra il 1975 e il 1979, nell’efferato tentativo di imporre con la forza un modello di società contadina socialista, il regime di Pol Pot avesse provocato la morte di oltre 1,7 milioni di cambogiani, cioè di più del 20 per cento della popolazione del paese. Il tribunale aveva anche stilato un elenco delle forme di tortura e di esecuzione utilizzate nel genocidio: soffocamento con sacchetti di plastica, asportazione delle unghie delle mani e dei piedi, scosse elettriche, colpi di bastone sulla nuca, annegamento (per i musulmani) e altri metodi.