Ti senti davvero libero? Scopriamo perché secondo Battisti e Spinoza non lo sei

Il mio canto libero è uno dei più celebri inni alla libertà e una delle pietre miliari della storia della musica italiana. Ma siamo davvero sicuri che la libertà di cui parla Battisti sia totale e completa? Scopriamolo insieme, utilizzando le riflessioni di Baruch Spinoza.

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Anche quest’anno uno degli eventi più attesi dagli italiani è il tanto amato, quanto talvolta criticato, Festival di Sanremo. Giunto in questo 2023 alla sua 73° edizione, ne abbiamo viste delle belle, come già si preannunciava da mesi prima dell’inizio dell’evento. È naturale che gli speaker, i conduttori e i partecipanti alla competizione facciano del loro meglio per intrattenere il pubblico in mondovisione, aiutati da un’immancabile e sempre presente allegria collettiva che si affaccia alle porte di tutte le generazioni che hanno guardato e continuano a guardare il Festival. Eppure, quest’anno, come in quelli precedenti, si sono presentati anche momenti decisamente commoventi.

“Il mio canto libero sei tu”

Uno dei più toccanti è stato quando Gianni Morandi ha deciso di fare un omaggio a Lucio Battisti, riportando l’Ariston e i telespettatori al 1972, con un tuffo nel passato che anche chi non era ancora nato in quell’anno ha potuto agevolmente compiere. Tutta la platea ha intonato, come in un unico coro, una delle più belle canzoni scritte da Mogol, Il mio canto libero, per ricordare il cantante scomparso 25 anni fa e che quest’anno avrebbe compiuto 80 anni.

Un chiaro inno alla libertà, alla possibilità di esprimersi, ma anche un ovvio e affatto maldestro segnale politico, lanciato in maniera audace nel periodo in cui il governo Meloni si stava ancora sedendo sugli scranni (considerando che, a distanza di mesi, i suoi membri ne stanno ancora valutando l’effettiva comodità).

La canzone dà il titolo all’intero album in cui essa viene inserita, il settimo in studio di Battisti. Mogol ne scrive il profondissimo testo a seguito di una travolgente vicenda personale. Il paroliere, infatti, si era appena separato dalla moglie e aveva una nuova compagna, cui sembrano dedicati alcuni dei versi più sinceri della canzone:

Nasce il sentimentoNasce in mezzo al piantoE s’innalza altissimo e vaE vola sulle accuse della genteA tutti i suoi retaggi indifferenteSorretto da un anelito d’amoreDi vero amore.

La casa ricoperta di rose menzionata nella canzone è proprio il casale che i due avrebbero comprato insieme, affiancato da un mulino, il quale diverrà poi lo studio di registrazione della Numero Uno, casa discografica che produsse i maggiori successi di Mogol e Battisti. Inutile dire che nel 1972 i sound erano diversi, la musica parlava con un’ingenuità e una purezza oramai perdute e la vita si viveva ancora in bianco e nero. D’altro conto, qualcosa ci appare inalterato, identico, eternamente presente quando sentiamo questa canzone:

In un mondo chePrigioniero èRespiriamo liberiIo e te.

Quell’eterna parte invariabile sono le costrizioni del mondo, che flagellano l’umanità sin dai suoi primi esordi, costrizioni a cui Mogol e Battisti paiono sfuggire solo grazie alla presenza dell’amore e della musica su questa Terra.

“In un mondo che prigioniero è”

Parlare di un mondo che è prigioniero può definirsi quasi un cliché, uno sempreverde d’altro canto, perché nessun essere umano è mai stato o sarà in grado di sfuggirvi. In effetti, proprio perché la condizione umana è indissolubilmente legata alla realtà che la circonda, senza poter provvedere ad alcun tentativo di sfuggirvi, vi sono stati filosofi che hanno proposto teorie che provassero a spiegare il mistero della trappola in cui siamo rinchiusi.

Queste posizioni filosofiche vengono definite deterministe. Con “determinismo” si intende l’idea che il cosmo sia dominato dalla necessità, che tutto sia regolato da stretti rapporti di causa-effetto e che ogni azione prodotta nel passato causi un risultato nel presente che non sarebbe stato in alcun modo evitabile. Si configura così un universo in cui nulla è lasciato al caso e in cui tutto acquisisce un senso solamente in questa logica.

Uno dei deterministi più radicali e conosciuti della storia della filosofia è Baruch Spinoza, nato ad Amsterdam nel 1632 e morto all’Aia nel 1977. Del filosofo sono state recentemente riscoperte le teorie e la vicenda personale in ambiente accademico, con una passione del tutto inedita da parte degli studiosi, data la sua precedente damnatio memoriae.

Ammesso che esistano varie forme di determinismo, la sua è in assoluto una delle più complesse e rilevanti della storia della filosofia. Il determinismo spinoziano si fonda sull’idea che Dio sia una causa prima e assoluta, da cui tutto dipende. Si parla qui di una divinità di carattere puramente filosofico, che non crea per volontà, ma per necessità, secondo il credo di ogni determinismo che si rispetti.

La posizione del filosofo olandese è stata generalmente ridotta alla dottrina del Deus sive Natura. Con questa espressione, si intende il fatto che nel sistema preso in esame la Natura o sostanza, vale a dire la manifestazione di tutto ciò che esiste, coincide con Dio, la sostanza da cui tutto dipende. Dio e la Natura si identificano, a tal punto che tutto nel cosmo ha un suo ordine e una sua causa, cui nulla sfugge.

A tutto ciò non si sottrae l’uomo, il quale è vittima, generalmente inconsapevole, della necessità. L’umanità non può sottrarsi alle leggi fisiche che regolano la natura, non può negare di essere frutto di una catena di cause lunghissima che parte da Dio. La nostra specie è soggetta alle stesse identiche leggi che regolano la realtà in toto e, sebbene la sua esistenza abbia delle ragioni precise, non si può far altro che ammettere che appariamo, in un universo vasto come un mare, nient’altro se non un piccolissimo granello di sabbia.

“Respiriamo liberi io e te”

In una delle sue opere più importanti, però, Spinoza sembra dare una luce di speranza all’umanità, trattando di uno dei temi più controversi quando si parla di determinismo: quello della libertà. Nella sua Ethica more geometrico demonstrata, pubblicata postuma, l’autore tenta di spiegare il ruolo del libero arbitrio in un sistema deterministico come quello da lui proposto.

Esiste davvero la possibilità di essere liberi in questo universo concettuale? A primo impatto, si potrebbe facilmente rispondere che no, la libertà non esiste, che essa è, a parere del filosofo, solamente un illusione, frutto dell’ignoranza. Chi crede di poter fare tutto è cieco davanti alla struttura del mondo e al fatto che ogni azione umana è influenzata da fattori ed eventi passati ed è, in qualche modo, obbligata.

Ogni scelta presunta libera è dipendente dal fatto che tutto avvenga in un cosmo chiuso e strettamente meccanicistico. Chi si pensa totalmente autonomo e sufficiente non si è reso conto di non essere altro se non un minuscolo ingranaggio di un’enorme catena.

A discapito di questa amara considerazione, Spinoza ammette per l’uomo una sola piccolissima possibilità di essere libero. Una speranza si annida flebile, ma subito appare dissolta. Il libero arbitrio deve fare i conti con un sistema rigido quello del sistema spinoziano e tutto ciò che resta a noialtri è la rassegnazione al fatto che siamo solo parte della macchina.

Per Spinoza, la libertà è semplicemente accettare di essere schiavi del sistema, che si tramuta in un muto assenso dato a qualcosa che niente e nessuno potrà mai controllare. Semplicemente ammettere con sé stessi che non si è in grado di capire. È il paradosso di essere liberi solo accettando di non esserlo. La vera libertà consiste nell’accettare di non avere alcuna libertà.

All’interrogativo che ogni supposto spirito libero si pone quando si domanda se sia davvero autonomo, non si può far altro che ricordare che il mondo è una prigione. Se ad essa si possa sfuggire con musica e amore, come idealizzavano Battisti e Mogol, non vi sono risposte certe. Spinoza controbatterebbe senza esitazioni che nessun incontro e nessuna produzione artistica sono frutto del caso e che, perciò, nel tentativo di scappare dal sistema, se ne sarebbe di nuovo ingenuamente schiavi. Chissà che, però, non sia, talvolta, proprio tale ingenuità a tenerci in vita…

Montagna, Natura, Avventura, In Piedi

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