Siamo davvero convinti di avere sotto controllo i contenuti a cui abbiamo accesso sui social? E se invece gli algoritmi ci conoscessero e controllassero molto più di quello che pensiamo?
Nell’ultimo mese il documentario The Social Dilemma (Netflix) sta avendo un grande successo. È l’ennesimo schiaffo in faccia a chi rende le proprie giornate un continuo Scrolling nella Home dei più famosi social networks. Questo documentario sottolinea come, proprio grazie alle nostre attività online, gli algoritmi arrivino a conoscerci sempre meglio. Ma una ricerca condotta nel 2015 ha dimostrato qualcosa in più: gli algoritmi di Facebook ci conoscono meglio dei nostri cari.
Una realtà fuori controllo
La peculiarità del documentario The Social Dilemma sta nel fatto che gli intervistati, i quali denunciano il lato oscuro di internet, sono tutti pezzi grossi del mondo di Google e dei social networks. Tra gli altri troviamo Tristan Harris, ex esperto di design di Google, Justin Rosenstein, co-inventore del tasto mi piace su Facebook e Shoshana Zuboff, autrice de Il Capitalismo della sorveglianza.
Molti di loro sono ex collaboratori di Google e dei social network che hanno contribuito a creare. Il motivo?
“Di giorno lavoro per qualcosa di cui poi divento vittima.”
(Tim Kendall, ex presidente di Pinterest)
Dunque, alcuni di coloro che hanno contribuito a creare questa immensa macchina virtuale, si sono resi conto che sta sfuggendo di mano. Una realtà che ingloba milioni di persone, anche chi l’ha creata.
Justin Rosenstein, parlando del tasto mi piace su Facebook, afferma che il significato dietro al pulsante era quello di diffondere positività tra gli utenti, ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato una moneta per quantificare il valore delle persone.
Più o meno tutti conosciamo cosa succede quando mettiamo mi piace su Facebook o cuore su Instagram. Sappiamo che è un modo per esprimere interesse per il contenuto pubblicato e, in base ai temi che ci piacciono di più, ci vengono mostrati argomenti simili. Ma pochi sono a conoscenza di un aspetto inquietante: i mi piace sono una traccia sufficiente che gli algoritmi possono utilizzare per capire quale sia la nostra personalità, con un’accuratezza addirittura migliore del giudizio umano.
Capire gli altri: uomo vs macchina
Nel 2015, il gruppo di ricerca di Wu Youyou ha confrontato la capacità umana con quella di algoritmi computerizzati nell’individuare la personalità altrui. I risultati sono sconcertanti.
86.220 persone hanno compilato un questionario di personalità su 5 parametri: apertura mentale, coscienziosità, estroversione, piacevolezza e nevroticismo. Successivamente, sono stati creati degli algoritmi in grado di associare i mi piace per determinati contenuti ai tratti di personalità corrispondenti. Infine, due conoscenti per ciascun partecipante dovevano descriverne la personalità.
Dopo aver raccolto tutte queste informazioni, i ricercatori hanno confrontato i dati secondo alcuni criteri, tra cui:
- Self-Other Agreement: confrontando il tipo di personalità ottenuta dagli algoritmi con quella espressa dai conoscenti, quale delle due è più vicina a quella dichiarata dalla persona in esame?
- External Validity: basandosi sulla personalità di un individuo, chi prevede meglio se farà uso di droghe, se sarà affetto da depressione e il grado di salute? Le persone che lo conoscono di più oppure un algoritmo?
I risultati della ricerca parlano chiaro
Per quanto riguarda il Self-Other Agreement, gli algoritmi basati sui mi piace sono più precisi nell’individuare la personalità dell’utente rispetto al giudizio di un conoscente. Nello specifico, più mi piace mettiamo, più gli algoritmi hanno informazioni utili per disegnare la nostra personalità. Oltre i 300 mi piace, arrivano a conoscerci meglio del nostro partner.
Passando al criterio dell’External Validity, sia gli algoritmi che i conoscenti dovevano giudicare la persona in esame secondo 13 caratteristiche, come l’utilizzo dei social, l’abuso di sostanze, i valori, il rischio di depressione… Sorprendentemente, gli algoritmi si sono mostrati più accurati del giudizio dei conoscenti in 12/13 degli aspetti valutati.
Questi risultati devono farci riflettere. Chiunque abbia un profilo social dissemina ogni giorno in rete tanti piccoli pezzi di sé, raccolti e utilizzati per confezionare annunci commerciali o di propaganda su misura per l’utente. Crediamo di essere liberi di scegliere i contenuti a cui abbiamo accesso, quando in realtà ciò che ci viene offerto dipende molto dall’attività fino ad ora svolta con quell’account.
Spezzando una lancia in favore, bisogna riconoscere che i social network portano una serie di vantaggi, soprattutto in questo periodo difficile. Ma dobbiamo abituarci ad un uso consapevole di questi strumenti, in un mondo online in cui l’utente con è ancora tutelato da leggi opportune.