Talento, musica e dipinti. Gli algoritmi sono artisti e gli artisti sono algoritmi

Talento contro matematica

L’arte è ritenuta l’intoccabile punta di diamante dell’intelletto umano. Se oggi gli algoritmi stracciano i campioni del mondo a scacchi, poker e molti altri giochi, il talento artistico rimane la roccaforte del primato umano. Una piccola scintilla luminosa celata in ognuno di noi pare distinguerci dai freddi calcolatori. L’artista scava nel profondo della sua anima e crea un’opera che entra in contatto con la nostra, facendo vibrare le nostre emozioni. In particolare la musica è un prodotto esclusivo della capacità umana e somma espressione della sua creatività. Ma cosa ci fa pensare che sarà sempre così? A ben vedere, la musica è costituita da pattern matematici. Il musicista non fa altro che elaborare qualcosa di esistente (le note musicali) e metterle in un ordine che il nostro cervello è capace di apprezzare. Nessuna magia trascendentale guida le dita del pianista, nessun angelo sussurra all’orecchio del compositore una melodia celestiale. Ogni brano può essere descritto da modelli matematici e le scienze cognitive possono spiegarci perché amo una sinfonia piuttosto che un’altra. Una volta che il disincanto scientifico strappa via il velo mistico che circonda l’arte, ecco che la nostro talento non sembra poi così speciale.

10 febbraio 1996: DeepBlue, software sviluppato dalla IBM, sconfigge il campione del mondo di scacchi Gerry Kasparov

Alexa, suona qualcosa per me

Negli ultimi anni sono stati messi a punto sofisticati algoritmi che producono quadri, musica e anche modelli virtuali di paesaggi naturali o architettonici. Enormi quantità di dati vengono dati in pasto al computer che elabora gli input forniti e restituisce risposte sorprendenti. Si può rimanere sorpresi nello scoprire che l’anno scorso è stato venduto a New York un quadro dipinto da un’intelligenza artificiale per 432 mila dollari. Il “Ritratto di Edmond Belamy” è il prodotto di una rete neurale addestrata con 15 mila ritratti realizzati da vari artisti dal ‘300 al ‘900. Se definiamo arte è ciò che le persone ritengono arte, non possiamo fare altro che ammettere di trovarti davanti ad un “artista artificiale”. Discorso analogo per la musica. Ore e ore di composizioni di J.S. Bach sono state fornite ad EMI, software sviluppato dal professore di musicologia David Cope. A lavoro ultimato, EMI ha prodotto 5 mila corali sullo stile di Bach in un solo giorno. Cope ha organizzato successivamente un concerto in cui invitava i presenti a distinguere la composizione originale del musicista tedesco da quelle del computer. Con sorpresa di tutti, EMI è riuscita ad ingannare la stragrande maggioranza degli spettatori.

“Ritratto di Edmond Belamy” creato da un algoritmo e venduto per 432 mila dollari

Sviluppi futuri

Mentre i vecchi algoritmi come EMI si basavano su regole predeterminate, quelli attualmente in sviluppo sfoggiano la capacità di “inventare” grazie all’apprendimento automatico. Uno stile musicale in continuo sviluppo che neanche chi li ha progettati è capace di comprendere da dove sono saltati fuori. Nel prossimo futuro possiamo immaginarci qualcosa di più. Man mano che l’intelligenza artificiale impara a conoscerci, potrà sapere che genere di musica prediligo e quale stato d’animo esperisco nel momento in cui lascolto. Forti di questi dati, l’algoritmo potrà elaborare melodie che solo il mio orecchio è capace di apprezzare, tenendo conto delle mie peculiarità ed idiosincrasie. Dopotutto, se ci riescono gli uomini non si capisce perché non possano farlo anche le macchine. Come un algoritmo artificiale, anche l’artista elabora informazioni e restituisce un input, essendo egli stesso un algoritmo biologico. Si, è vero, ci sono di mezzo le emozioni. Ma le neuroscienze ci dicono che le emozioni sono solo sofisticatissimi programmi che l’evoluzione ha sviluppato per prendere decisioni ed elaborare informazioni con un livello di costo-beneficio accettabile.  Preso atto che non vi è nulla di magico o trascendentale nelle opere d’arte, anche il più sacro baluardo dell’umanità potrebbe un giorno cadere, e forse non sarà così male.

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