Tramite gli occhi di Bauman, scopriamo la nuova figura del rider ed il suo legame nascosto con la “società fluida”.
Impossibile non notarli, fra caschetti colorati, zaini quadrati e giacche a vento con dettagli rifrangenti: le strade si illuminano alla sera di tante lucine, sono le innumerevoli bici dei riders – per intenderci, i fattorini.
IL VENTUNESIMO SECOLO ED IL “LAVORO LIQUIDO”
Abbiamo tutti potuto osservare la rapidissima diffusione delle app di food delivery, soprattutto durante il famoso primo lockdown – chi lo sapeva che non sarebbe stato l’ultimo? – e l’esponenziale crescita del numero di lavoratori nel settore. Per dargli un nome, si parla di gig economy, l’ “economia del lavoro a chiamata”. Ogni giorno, migliaia di riders sfrecciano per le strade delle città, partecipando a questa peculiare, nuova, modernissima idea di lavoro.
Il lavoro a chiamata ed il freelancing – eh sì, anche i rider ricadono in questa categoria – sono format “stranieri” al Bel Paese, ma che ogni giorno di più alimentano l’attuale mercato del lavoro con sconcertante rilevanza. Nelle parole di Zygmunt Bauman (1925-2017), il ventunesimo secolo è divenuto il teatro del “lavoro liquido”.
Non il tipico nome studiato a scuola, ma sicuramente fra i pensatori più interessanti del nostro tempo: Bauman offre una chiave di lettura della modernità critica ed originale, regalandoci un ricco vocabolario del post-modernismo, capace di spiegare i fenomeni della modernità, come questo.
FLESSIBILITÀ O PRECARIETÀ? PRO E CONTRO DEL LAVORO MODERNO
“Viviamo in una società liquefatta”, questo ciò che afferma Bauman, sociologo e filosofo polacco. Autore di “Società Liquida”, ma anche “Amore Liquido” e molte altre opere sulla contemporaneità e la sua dimensione “fluida”, nei suoi scritti riflette sulla fragilità della società nella quale viviamo. Il filo che lega Bauman al discorso della gig economy è chiaro e permette la comprensione dei recenti sviluppi sulla questione della precarietà dei rider.
Il lavoro del nuovo millennio si fa “liquido”, “mobile” e perde la sua struttura, atomizzandosi nella figura del fattorino delle tante aziende di food delivery. In che modo?
In primis, nella maggior parte delle volte manca un vero e proprio statuto del servizio offerto, un contratto: si parcellizza la mansione svolta con la premessa della “flessibilità” del lavoratore, che regola da sé modalità, turni ed intensità della giornata lavorativa – in altre parole, che si gestisce da sé.
Inoltre, però, si aggiunge la componente della precarietà: è qui che risiede l’altra faccia della società fluida.
Da un lato la libertà e l’autogestione, dall’altra l’instabilità e, quindi, la provvisorietà.
I DIRITTI DEI LAVORATORI ED IL RUOLO DI BAUMAN
In questo modo, la protezione dei diritti dei lavoratori diventa un discorso secondario: dove manca stabilità, manca la sicurezza. Questo perché nella rete della gig economy è intessuto il concetto di “continuo ricambio” della forza lavoro: se non si è d’accordo con le condizioni imposte, si è facilmente rimpiazzabili – che, in aggiunta alla mancanza di linee guida vere e proprie, crea una zona grigia in cui quasi tutto è concesso. L’indifferenza delle compagnie è stata più volte ripresa dai sindacati, che hanno organizzato numerose proteste a favore di una contrattualizzazione di queste figure professionali (ricordiamo, ad esempio, quelle di questo inverno a Bologna, Milano, Roma, ma non solo, riders di tutta l’Europa si sono ribellati alle politiche “al limite dell’usura” dei più famosi nomi del delivery). E forse qualcosa sta cambiando.
In generale, però, questo discorso non è limitato ai rider, ma esteso a tutto il nuovo mondo del lavoro che, col suo costante mutamento, va incontro ad uno sgretolamento fatto di disoccupazione e precarietà: Bauman si fa padre di questa visione della società, che per alcuni potrebbe essere erroneamente tradotta come pessimista, ma che si dimostra, invece, fortemente realista. Dalle teorie del filosofo polacco, possiamo trarre una conclusione dal duplice significato: la società si è liquefatta e con essa le nostre certezze, ma sta a noi capire se difenderla in nome della libertà o rivoluzionarla.