Sondaggi, i grandi numeri del governo giallo-verde: analisi politica

La società di ricerca IPSOS ha pubblicato oggi i dati dei sondaggi relativi alle intenzioni di voto degli italiani aggiornati al 19 luglio. Esemplare la crescita dei partiti di Lega e M5S che, da soli, rappresentano oltre il 60% dell’elettorato. Ne escono ulteriormente indebolite le opposizioni.

I dati statistici dei sondaggi IPSOS

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le intenzioni di voto aggiornate al 19 luglio (grafico di: Termometro Politico)

Il sondaggio, realizzato da IPSOS per il Corriere della Sera, analizza il flusso dei consensi raggiunti dai principali partiti della XVIII legislatura nell’arco temporale che va dalle elezioni del 4 marzo 2018 fino al 19 luglio 2018.

La colonna in colore giallo, in cui figurano i consensi ottenuti dal Movimento capitanato da Luigi di Maio, parte dal 32,7 % ottenuto dal M5S alle elezioni politiche e arriva al 31,5 % del 19 luglio. Pertanto, su quasi 34 milioni di elettori, sono all’incirca 11 milioni gli italiani che al momento voterebbero per il M5S. La stabilità dell’elettorato a 5 Stelle è dimostrata dal grafico: il punto più alto raggiunto dal Movimento è il 33,9 % del 28 marzo mentre il risultato più basso (sempre secondo i sondaggi) è il 29,8% del 27 giugno. Una differenza di appena 4 punti percentuali che confermano il Movimento 5 Stelle, ad oggi, il primo partito d’Italia.

Appena mezzo punto percentuale al di sotto del Movimento si attesta infatti la Lega guidata dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Il leader del Carroccio è il rappresentante del partito che ha allargato in maniera significativa il bacino elettorale da cui attingere consensi. Non a caso la Lega avrebbe raggiunto, secondo l’analisi di IPSOS, dal 17,4% di preferenze, ottenute il 4 marzo alle politiche, il 31% del 19 luglio. In termini di elettori, la Lega passerebbe dai 6 milioni di voti ottenuti alle politiche ai 10,5 milioni di luglio: sono quasi raddoppiati i consensi che Salvini è riuscito a convogliare all’interno del partito, compiendo una scalata di preferenze costante e di rilievo che termina la sua corsa attestandosi al 31% (la prima inversione di tendenza: lo 0,2% in meno rispetto ai dati pubblicati il 27 giugno).

Se i dati dei sondaggi testimoniano un progressivo aumento di voti della Lega, significa che tali preferenze giungono o dal ridimensionamento dell’ala astensionista o dalla perdita di consensi di altri partiti. L’astensione, in crescita rispetto agli altri anni, è arrivata al 27,1%; vediamo quindi i risultati degli altri partiti.
Nella coalizione di centro-destra sia Fratelli d’Italia che Forza Italia, partiti storicamente di rilievo nel panorama politico italiano, registrano un costante calo di preferenze che, ragionevolmente, sono confluite all’interno del “semi-alleato” partito della Lega.
Il partito di Silvio Berlusconi registra una progressiva perdita di voti, senza alcuna inversione di tendenza che testimonia la scarsa efficacia delle opposizioni: Forza Italia passa dal 14% del 4 marzo al 7,7%. Il partito di Giorgia Meloni, praticamente inattivo e senza proposte concrete, segue lo stesso iter anche se più altalenante rispetto al suo alleato: dal 4,3 % di marzo ai 3 punti percentuali di luglio.
Stessa storia per l’opposizione a centro-sinistra, incapace di costruire proposte alternative convincenti per un elettorato sempre più lontano dagli ideali della sinistra e, pertanto, sempre più frammentato: il Partito Democratico, calderone di contrasti e litigi dall’inizio della legislatura, perderebbe l’1,7% di consensi rispetto al 4 marzo, arrivando al 17%, nonostante avesse raggiunto, nei sondaggi del 20 aprile, il 19,5% e non fosse mai sceso, fino ad oggi, al di sotto del 18%. Sono meno di 6 milioni gli Italiani che, se si votasse oggi, preferirebbero il PD; emblema, anche questo, di un’opposizione incapace di risolvere le controversie interne e inadeguata a competere con i neo-partiti, più dinamici e concreti degli schieramenti protagonisti del primo decennio del XXI secolo.

L’avanzata giallo-verde

I provvedimenti avanzati dal nuovo governo hanno raggiunto un elevato consenso che ha permesso a Lega e M5S di ottenere più del 60% dei voti di tutto l’elettorato. Gli ultimi grandi partiti che hanno raggiunto risultati simili sono la Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista negli anni della Prima Repubblica.
Il pugno duro nel fronteggiare la crisi migratoria, ribadire la questione relativa alla legittima difesa e la forte pubblicità della “Flat Tax” sono i temi che hanno consolidato l’operato di Matteo Salvini. Inoltre il leader del Carroccio è stato in grado di far leva sui “sentimenti” della totalità delle popolazione: piuttosto che rivolgersi ad una fascia della popolazione (studenti, lavoratori, pensionati, dipendenti pubblici… ecc) il leader della Lega persegue, apparentemente, gli interessi di tutti i cittadini. Un sondaggio effettuato dall’istituto Tecnè dimostra che i voti ottenuti il 4 marzo dalla Lega provengono da tutte le fasce dei lavoratori in maniera proporzionale: 19% da precari, 20% da dipendenti privati, 18% da pensionati, 19% da casalinghe. Sono dati che testimoniano l’efficacia delle dinamiche populiste di ampliamento dei consensi: non si lascia escluso nessuno, anche con promesse che non saranno mantenute.
Allo stesso modo Luigi di Maio ha potuto contare sulla forte risonanza che il Movimento ha ottenuto grazie al varo del Decreto Dignità che, anche se al centro di contenziosi istituzionali, ha permesso al leader penta-stellato di racimolare consensi da quella fascia dei lavoratori che si è sentita “abbandonata” dall’operato del centro-sinistra. Nonostante il vero “protagonista” della XVIII legislatura sia Matteo Salvini, Luigi di Maio continua ad offrire valide alternative all’elettorato più indeciso e sempre meno convinto dal laissez-faire delle opposizioni.

Il “partito dell’astensione”

Il 4 marzo il 72,9 per cento degli aventi diritto si è recato alle urne: è la percentuale più bassa dal 1948 ed è lo specchio della disaffezione politica che sta influenzando la sfera decisionale. Se quello dell’astensione fosse un partito, alle elezioni del 4 marzo avrebbe ottenuto oltre 12 milioni di preferenze (più del M5S che, come si è visto, ha raggiunto 11 milioni di elettori) e sarebbe stato primo partito. L’astensione però non è un partito, bensì un fenomeno che sta raggiungendo cifre che potrebbero rendere non attendibile il risultato stesso delle elezioni. In Sicilia e Calabria, ad esempio, il tasso di astenuti ha superato il 40% ed è in leggero calo rispetto agli altri anni, dati che testimoniano come il Movimento sia stato in grado di far leva sul sentimento di astensione e abbia racimolato voti e consensi da parte di chi precedentemente non era andato a votare. L’attività di lotta all’astensione e l’incremento di voti che una campagna politica di questo genere può comportare, potrebbe fornire un quadro di diverso genere per il panorama politico italiano, ma, apparentemente, le opposizioni non danno grande importanza al fenomeno.
Piuttosto che fronteggiare attivamente l’astensionismo, si tende a sminuire il fenomeno e, in questo modo, la percentuale di astenuti continuerà ad aumentare insieme all’instabilità politica che da esso scaturisce.

Gianmarco Renzetti

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astensionismo dal 1948 ad oggi. Fonte: termometro politico