
Da più di 50 anni le nostre orecchie sono tese verso l’infinità del cosmo che ci sovrasta, in fervida attesa di un qualche segnale da parte di un’eventuale altra forma di vita intelligente che abiti la nostra galassia, o una galassia vicina. Ma, a parte un segnale, oggi chiamato segnale “WOW!”, rilevato nel 1977, le nostre speranze si sono sempre infrante. Tanto che un gruppo di tre ricercatori di Oxford hanno addirittura avanzato l’ipotesi che effettivamente la Terra possa essere l’unico pianeta ad aver favorito lo svilupparsi della vita, risolvendo così il paradosso di Fermi e rivedendo l’equazione di Drake.
Il paradosso di Fermi, in breve
Attribuito al famoso fisico italiano, di fatto questo paradosso prova a rispondere alla domanda “Dove sono tutti?“, con diverse teorie. La prima è che la Terra sia stato un caso unico, rarissimo: le condizioni climatiche presenti agli esordi della Terra sarebbero state un susseguirsi fortunato di eventi irripetuto altrove, e che per questo non ci sia un’altra forma di vita intelligenti là fuori. Una seconda teoria enuncia che le civiltà intelligenti esistano, ma abbiano brevissima durata, che sia per motivi culturali, biologici o climatici. Oppure, ancora che esistano ma siano troppo lontane nel tempo e nello spazio, distanti migliaia e migliaia di anni luce da noi e che per questo un contatto sia impossibile. O semplicemente che esistano e non possano o non vogliano comunicare con noi: potrebbero essere troppo arretrati tecnologicamente, e quindi non riuscire a recepire e mandare messaggi, così come troppo evoluti per noi, il che potrebbe portare a un completo disinteresse nei confronti di una specie così insignificante. Una teoria che fa da corollario a questa è quella della foresta oscura, secondo la quale ogni civiltà si nasconderebbe agli occhi delle altre per garantirsi le risorse per la propria sopravvivenza. O, ancora, forse potremmo essere noi a non essere in grado di ricevere nessun tipo di messaggio.
La ricerca di Oxford
Gli ultimi a provare a rispondere al Paradosso di Fermi sono Anders Sanberg, Eric Drexler e Tod Ord dell’Università di Oxford, che hanno reso pubblico su ArXiv uno studio in cui affermano che, alla luce delle nostre conoscenze attuali, la probabilità che l’umanità sia sola non è così lontana, al contrario di quanto si potrebbe pensare. I ricercatori sono partiti dalla formula di Drake, famoso fisico che negli anni ’60 propose questa equazione per stimare il numero di forme di vita intelligente nella Galassia.

La formula afferma che il numero di civiltà (N) che potremmo riuscire a contattare nella nostra galassia può essere determinato moltiplicando il tasso medio di formazione stellare nella nostra galassia (R *), la frazione di stelle con pianeti (FP), il numero di pianeti che possono effettivamente supportare la vita (NE), il numero di pianeti che potrebbero sviluppare la vita (FL), il numero di pianeti che potrebbero sviluppare vita intelligente (FI), il numero di civiltà in possesso di tecnologie di trasmissione (FC) e il periodo di tempo in cui queste civiltà dovrebbero trasmettere i loro segnali nello spazio (L).
Il problema secondo i tre Oxfordiani è che sono stati trascurati certi parametri, e che in particolare le variabili in gioco non siano oggettive, e siano suscettibili al maggiore ottimismo o pessimismo del ricercatore di turno. La loro ricerca si è basata quindi su intervalli di certezza, portando a ritenere, viste le nostre conoscenze attuali e il livello di incertezza così elevato, che sia molto più probabile che in realtà siamo soli di quanto non sia possibile ci sia una qualche altra forma di vita intelligente, almeno nella nostra Galassia, la Via Lattea.
Ma questo non vuol dire doversi demoralizzare troppo. Le Galassie sono stimate essere ben oltre i duemila miliardi, ciascuna con centinaia e centinaia di pianeti potenzialmente abitabili. La possibilità che qualche ET ci sia continua ad esistere, motivo per cui gli studiosi resteranno con le orecchie rivolte alla volta celeste, aspettando di poter percepire anche il minimo sussurro.