Se non siete abituati alla sala cinematografica, l’ultimo film di Nolan non fa per voi

È passata una settimana dall’uscita di Oppenheimer e tutti dicono la stessa cosa: “ho bisogno di rivedere il film”.

È il 1942 e l’America ha bisogno di qualcuno che ponga fine alle continue cattiverie che stanno distruggendo il mondo. Si ha bisogno di qualcosa di grande che possa bloccare tutto: il Progetto Manhattan viene affidato al fisico J. R. Oppenheimer.

L’aspettativa

Il 21 agosto è uscito nelle sale cinematografiche uno dei film più attesi del 2023 per la regia di Christopher Nolan e con numerosi incassi registrati nei primi giorni al box office. Una storia semplice incentrata sulla bomba atomica che ha attirato fun del regista, dell’attore protagonista C. Murphy e altro pubblico interessato alle tematiche trattate. Tutti attendevano l’esplosione su Hiroshima e Nagasaki, eppure ne abbiamo percepito solo l’ombra.

Adottamento dalle tinte autobiografiche, il film racconta la vita del fisico che ha creato la bomba atomica ma la scrittura si sbilancia fra il punto di vista del protagonista e quello Lewis Strauss, una sorta di antagonista che rimane fregato dalla sua stessa strategia politica. Due punti di vista contrapposti da una fotografia in bianco e nero. Da questa dualità si passa facilmente a momenti corali governati da dibattiti scientifici in merito alla costruzione della bomba, ad altrettanti dibattiti sulla posizione politica di Oppenheimer nel momento in cui decise di intraprendere il Progetto Manhattan.

Nolan stressa lo spettatore

In questo film vi sono una serie di scelte registiche che, probabilmente, hanno portato Nolan ad essere uno dei registi più amati e odiati  allo stesso tempo. Il film è composto da due parti divise da un’esplosione che, come detto prima, non è quella di Hiroshima e Nagasaki. Sulla base della narrazione circolare, tipica di Nolan, il montaggio del film è veloce e dal ritmo incessante: vi sono salti temporali distinti dal semplice trucco sui personaggi e da botta e risposta altrettanto veloci ma dalle parole chiare e coincise… ogni singola parola è chiave e significativa allo stesso tempo!

Il tutto è scandito dalla colonna sonora di L. Göransson. Come dichiarato in un’intervista, il regista ha espressamente richiesto a Göransson di rappresentare il protagonista attraverso il suono del violino: una tensione che si adatta al genio, all’estasi della materia e alla foga di voler creare qualcosa di grande. Uno strumento che si modella tra le emozioni giovanili della prima parte con suono dolce e singolare e, nella seconda, a un suono aspro e corale a sottolineare le scelte catastrofiche di uno dei fisici più importanti della storia.

La pellicola

Ciò che ha colpito di più lo spettatore prima di vedere il film è proprio l’impossibilità di vederlo come dovrebbe essere in originale. Giusto per alleggerire la produzione di questo film, Nolan ha deciso di girare la sua opera con una pellicola di 70 mm in IMAX.

Un tipo di pellicola grande esattamente il doppio di quella normale (35 mm) che permette un’immagine più nitida e dettagliata rispetto al formato digitale. Difatti, vi sono numerosi primi piani sugli attori che sottolineano le imperfezioni della pelle e il suo invecchiamento. Inoltre, il formato quadrato della pellicola in 70 mm permette un campo visivo esteso: per vivere l’esperienza al massimo bisognerebbe acquistare un biglietto aereo e andare in apposite sale cinematografiche per la visione di questo tipo di pellicola.

Un’esplosione cinematografica

È inutile affermare che probabilmente Oppenheimer diventerà uno dei capolavori di Nolan. La volontà di girare in 18k; l’utilizzo di 6 canali audio per far esprimere le emozioni del protagonista durante tutto il corso del film; un cast composto dalle migliori performance degli ultimi anni ma che interpretano parti brevi, eccetto quella di c. Murphy; il ritmo del montaggio e dei dialoghi che richiamano l’attesa e il conto alla rovescia di una bomba… un insieme di cose che hanno portato lo spettatore ad una esplosione interiore. Quell’esplosione che non riusciamo a metabolizzare una volta conclusi i titoli di coda.

 

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