“Saturno che divora i figli”: un infanticidio esemplificato da Goya ed Esiodo

Ferocia e violenza inaudita sono i sentimenti che suscita il dipinto Saturno che divora i figli, una delle opere più intriganti del pittore Francisco Goya. Si tratta di un dipinto che l’artista spagnolo ha realizzato tra il 1819 e il 1823.

Storia dell’opera

Il dipinto rientra nell’ambito delle pinturas negras, un ciclo pittorico di 14 rappresentazioni. Fu realizzato da Goya nell’ultimo periodo di vita sulle pareti della casa nota come Quinta del Sordo, nella periferia ovest di Madrid. A questi capolavori egli non diede alcun nome, solo successivamente furono organizzati e classificati.

“Saturno che divora i figli”, quadro di Goya.

Nell’opera Saturno che divora i figli è raffigurato il dio Saturno mentre fagocita aggressivamente una delle sue creature. Ciò che più colpisce è lo sguardo, a dir poco terrificante, di un essere stretto nella morsa della follia. Tra le proprie mani stringe forte, quasi stritolando, la sua preda, di cui ha già divorato la testa. Il corpo del figlio non è certo quello di un bambino, anzi è ben formato e muscoloso. Al contrario, invece, di quello del padre assassino che, avendo perso ogni fattezza umana, è mostruoso. I capelli, infatti, risultano arruffati, trascurati, la corporatura quasi animalesca. Per di più, il volto sembra richiamare quello dei Satiri, grottesche creature dell’antica Grecia, dai tratti poco aggraziati.

La pennellata si segnala per essere imprecisa e sfaldata, sembra quasi realizzata con impeto violento. Il personaggio sta per essere inghiottito nel buio dello sfondo e, seppur si tratti di un episodio mitologico e fittizio, conferisce un’aura di inquietudine all’osservatore che vi si accosta.

Il mito nella “Teogonia” di Esiodo

Nella Teogonia di Esiodo (letteralmente “nascita o origine degli dei”) si racconta proprio del mito di Crono, conosciuto come Saturno presso i Romani. Egli nacque dall’unione tra Gea e Urano, insieme ai fratelli Titani, Ciclopi e Centimani. Urano, però, per paura di essere spodestato impediva ai figli di essere partoriti dal ventre della madre. Gea, infastidita da questa situazione, decise di servirsi di un falcetto con cui Crono evirò il padre.

Rea mentre consegna la pietra avvolta in fasce a Crono.

A questo punto, Crono si impadronì del regno e insieme alla sorella Rea generò una prole piuttosto numerosa. Preso anch’egli dal medesimo terrore paterno, decise di inghiottire tutti i figli che venivano messi al mondo. Rea, quindi, furbescamente, decise di nascondere al sicuro Zeus  sull’isola di Creta, all’interno di un antro. A Crono fornì, al posto del bambino, una pietra avvolta in fasce, affinché la divorasse. Successivamente, Zeus costrinse il padre ad espellere tutti gli altri fratelli da lui mangiati.

Ipotetici significati dell’opera pittorica

Diverse sono le ipotesi avanzate dagli studiosi rispetto al significato dell’opera di Goya. Di sicuro, l’artista stava attraversando un periodo buio e triste. Le motivazioni plausibili che si celano sono sostanzialmente due.

Si pensa, dunque, a un divario tra il  passato, quindi la giovinezza ormai sfumata, e la vecchiaia. Saturno, quindi, divorerebbe i ricordi del tempo trascorso, resettando con furia tutto quanto.

Secondo altri pareri, si tratta di un’allegoria riferita alla Spagna. Questo paese era dilaniato, ai tempi di Goya, da aspri scontri e guerre, anche a causa del tiranno che rendeva difficile la vita degli uomini della sua patria.

Elisabetta Di Terlizzi 

 

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