Ogni anno il Natale rappresenta uno dei periodi più floridi dell’economia, grazie alla febbre da shopping che infiamma gli animi in vista del tanto atteso momento dello scambio dei regali. Quella del dono, però, è una tradizione molto più antica, le cui dinamiche si sono mantenute intatte nei secoli. L’antropologo e sociologo francese Marcel Mauss ha dedicato a questo tema la sua opera più importante, il ‘Saggio sul Dono’.
Campagne di marketing sempre più sofisticate, cofanetti dai packaging allettanti, jingles rassicuranti in sottofondo alle pubblicità: come ogni anno, la società dei consumi concentra una fetta consistente delle sue energie nel periodo che precede il Natale. La corsa all’acquisto per i doni da scambiarsi sotto l’albero risulta infatti un balsamo per l’economia, che vede gonfiare le casse dei negozi sotto l’influsso di quella che è una vera e propria febbre da shopping. Dagli anni ’80 negli USA l’inizio della stagione di acquisti natalizi è tradizionalmente individuato nel giorno del black friday, ne abbiamo parlato qui.
Nel corso del tempo sono mutati più volte i modi e i mezzi attraverso i quali gli irrinunciabili regali di Natale sono stati acquistati e scambiati: se fino a qualche decennio fa ci si rivolgeva per lo più a negozi e botteghe di fiducia, ora i grandi magazzini e le catene di negozi la fanno da padroni. Un’altra tendenza crescente nel mercato è quella di preferire la possibilità di regalare un’esperienza piuttosto che un bene materiale: cofanetti come smartbox et similia ne sono l’esempio più lampante. Infine, l’espansione inarrestabile dell’e-commerce ha portato sempre più persone a scegliere di acquistare i regali per amici e parenti direttamente dal proprio pc.
Ciò che però non è cambiato nonostante la globalizzazione e il progresso tecnologico è la dinamica del dono, che si caratterizza in primo luogo come un gesto concreto volto a dimostrare il nostro affetto nei confronti delle persone a cui teniamo. Regalare qualcosa, però, ha una valenza che va oltre questo aspetto generoso e disinteressato: irrimediabilmente crea una sorta di rapporto di ‘debito‘ che colui che ha ricevuto il regalo si sente in dovere di colmare, sebbene l’idea di dono sottintenda proprio la mancanza di ‘vincolo di restituzione‘. Accade quasi sempre che dopo aver ricevuto un regalo particolarmente azzeccato o di consistente valore economico ci sentiamo in dovere di ricambiare con qualcosa di altrettanto importante, così come ricevere un regalo che ci fa storcere il naso ci porta a pensare di ‘vendicarci’ con qualcosa di altrettanto obbrobrioso.
Alla riflessione sul dono e sulle sue dinamiche e implicazioni è dedicata l’opera più importante dell’antropologo e sociologo francese Marcel Mauss, pubblicata nel 1923 con il titolo di ‘Saggio sul Dono – Forma e Motivo nello scambio delle società arcaiche’. In questo elaborato, Mauss si concentra sull’analisi del dono come fatto sociale all’interno della ritualità di alcune comunità tribali studiate sul campo da due suoi celebri colleghi: l’antropologo tedesco Franz Boas, che si era concentrato su una serie di tribù indigene del Nord America, e del polacco Bronislaw Malinowski, che aveva osservato gli usi e i costumi degli abitanti dell’arcipelago delle isole Trobriand, nell’Oceano Pacifico. In entrambe queste forme ‘primitive’ di società l’atto del dono era considerato di fondamentale importanza all’interno della vita comunitaria, al punto che Mauss lo definì un ‘fatto sociale totale‘, ovvero un rito, una tradizione, un comportamento sociale capace di influenzare ogni aspetto di una determinata società e che a sua volta rappresenta la chiave per comprendere ogni dinamica di quella società.
Le tribù di nativi americani osservate da Boas praticavano il potlatch, un rituale in cui venivano distrutti beni considerati di prestigio. A guadagnare uno status sociale più alto erano coloro che distruggevano il maggior numero di beni, affermando in questo modo la propria ricchezza e spingendo gli altri ad una sorta di competizione al rialzo. Tra gli abitanti dell’arcipelago delle Trobriand studiate da Malinowski vi era invece l’usanza del kula, uno scambio rituale di collane e bracciali di conchiglie che avveniva una volta all’anno e che serviva a mantenere un legame di fiducia tra le tribù delle diverse isole, unendo tutti in una sorta di ‘confraternita’.

In entrambi i casi esaminati da Mauss è evidente che il dono non rappresenta principalmente un gesto disinteressato, ma lega donatori e riceventi con una sorta di elastico la cui rottura può avere importanti conseguenze a livello sociale, come la fine dell’amicizia tra singoli o addirittura della pace fra tribù. La chiave di volta di questo processo non è quindi il bene che viene fisicamente donato, ma una sorta di ‘spirito‘ che esso contiene e che lo lega indissolubilmente sia a chi lo ha donato sia a chi lo ha ricevuto. Il dono diventa, alla luce di questa lettura, qualcosa che di fatto diventa ‘obbligatorio‘ ed articolato nelle fasi di ‘dare, ricevere e ricambiare‘ e produce conseguenze sociali che vanno molto al di là del semplice costo di ciò che è stato regalato.
E’ stato Mauss stesso ad affermare lucidamente che questo tipo di società fondate principalmente su una ‘corsa al dono’ sono e devono essere superate in favore di un’economia basata principalmente sulla razionalità e sui concetti di accumulazione ed allocazione efficiente dei beni, ma il periodo natalizio dell’attuale società dei consumi sembra recuperare alcune peculiarità tipiche di quelle società tribali. Pensate questo quando sotto l’albero scarterete l’ennesimo pigiama di pile con una fantasia degna di una tappezzeria ottocentesca: c’è comunque qualcosa di romanticamente atavico nella mente di chi ha pensato che fosse perfetto per voi.
Perania