Perché un romanzo è sempre un gioco di illusioni? Scopriamolo attraverso la mise en abyme

La tecnica artistica della mise en abyme coinvolge lo spettatore a tal punto da confondere i suoi contorni con quelli dell’opera, vediamo come.
Quando ci approcciamo a un’opera, letteraria o artistica che sia, ciò che dobbiamo tener ben presente è che siamo di fronte a un’illusione tutta giocata sulla finzione che tocca la realtà. E se, grazie alla mise en abyme, i due piani si confondessero veramente?

Collaborazione libro-lettore

Da quando hanno preso piede la televisione, i social media, i podcast e gli audiolibri si legge ancora meno di quanto non lo si facesse già.

Ma perché?

Perché la lettura è un’attività e come tale presuppone partecipazione: gli altri mezzi, per quanto estremamente diffusi e utili, prediligono una fruizione più passiva. Davanti alla tv lo spettatore assorbe ciò che gli viene proposto, con le cuffiette nelle orecchie ascolta parole lette o racconti. Alla base c’è un rapporto 1:1, lo stesso che c’è tra lettore e libro. Giustissimo. Ma i libri, almeno alcuni di loro, sentono il bisogno di una collaborazione diversa da parte del loro lettore, che a tratti si sente un po’ escluso.

È ciò che succede leggendo alcuni romanzi di Nabokov, grande scrittore russo, e – non me ne vogliano i cinefili sfegatati – paragonabile al regista Christopher Nolan (se vogliamo comunque scendere anche in ambito cinematografico).

Nabokov ama confondere il lettore

Non è però la lingua dell’autore, né la trama, né tantomeno le caratterizzazioni del personaggio a rendere i suoi romanzi veri e propri rompicapi, bensì gli escamotage narratologici messi in atto (come Nolan, continuerei ad aggiungere ndr).

È lo sdoppiamento dei piani della realtà e della finzione, è la confusione sottile tra i ruoli che oltrepassano anche le righe di carta a rendere questi romanzi un esercizio quasi enigmistico.

Ed è proprio così, per un autore come Nabokov la scrittura è un gioco e il lettore ne è coinvolto tanto quanto i suoi poveri personaggi. A tal punto intrecciato da doversi destreggiare tra più piani della narrazione: a volte un narratore è anche autore, a volte un personaggio è anche narratore dentro a un’altra storia contenuta, contemporaneamente, nello stesso romanzo e così via.

Sembra di ascoltare la canzone Mon Amour di Annalisa: “ho visto lei che bacia lui che bacia lei che bacia me”. La struttura è la stessa e si chiama, in arte e in letteratura, mise en abyme.

Noi lettori siamo comodamente seduti a leggere il romanzo di Nabokov dal titolo La vera vita di Sebastian Knight quando, improvvisamente, lo stesso libro che stiamo leggendo sarà in realtà il risultato di ricerche che il protagonista del romanzo sta conducendo sulla vita di suo fratello.

Ma se mai gli accadrà di trovare sulla strada La vera vita di Sebastian Knight, vorrei che sapesse quanto gli sono grato per il suo aiuto.

Ci siamo noi che leggiamo e lo stesso romanzo è, in realtà, il frutto di tutta una vita passata a ricostruire le tracce di quello che è l’alter ego dell’autore stesso del romanzo, ossia Nabokov. Mi verrebbe da aggiungere: che al mercato mio padre comprò.

Quale il ruolo del lettore?

Questa tecnica genera nel lettore spaesamento e confusione: è anche lui un personaggio del romanzo o il suo unico ruolo è ancora quello di leggere?

Tutto questo, se coniugato alla struttura di un thriller psicologico, può diventare la ricetta perfetta per una bomba letteraria a orologeria. Ed è ciò che è il romanzo Il manoscritto, di Franck Thilliez. Il lettore non solo è catapultato in un vortice di omicidi e stupri violenti ma deve scendere a patti, e con lui la protagonista, con la veridicità di alcuni racconti, ricordi, trame.

Ed è qui che, senza spoiler, si insinua sottile la mise en abyme: la nostra protagonista è una scrittrice di thriller di successo (ed ecco che suona il primo campanello d’allarme), è coinvolta in sparizioni e omicidi e, dulcis in fundo, uno dei romanzi di cui è più fiera sembra non essere propriamente suo. Ma non finisce qui, anzi: la stessa struttura con cui si apre e si chiude il romanzo sconvolge il lettore ponendolo nella condizione di non sapere dove effettivamente inizia la finzione e dove la realtà autoriale.

Ma in fondo poco importa. Un romanzo è un gioco di illusioni, tutto vero quanto è falso, e la storia inizia a esistere solo nel momento in cui voi la leggete. Questo libro che state per iniziare (o l’avete già iniziato, forse?) si intitola Il manoscritto. È stata una mia idea e tutta la casa editrice ha approvato. Non c’erano alternative.

 

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