Perché l’estate ci mette sempre un po’ di malinconia? Scopriamolo con Schopenhauer

Se la vita oscilla tra dolore e noia, l’estate è il periodo di maggiore sofferenza perché mette fine al tedio della nostra vita quotidiana.

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Durante l’anno, il lavoro e le occupazioni giornaliere gestiscono il ritmo della nostra vita. Questo tran-tran ha un senso solo perché preannuncia e prevede l’arrivo dell’estate, la stagione che risplende di luce e colora di tinte nuove il grigiore invernale. Quando, però, dopo tanta attesa, questa sopraggiunge, siamo sempre inevitabilmente pervasi da una strana malinconia.

Summertime sadness

L’articolo di Claudia Scudieri sul Rolling Stones (https://www.rollingstone.it/musica/odio-lestate-canzoni-per-detestare-la-bella-stagione-con-piu-consapevolezza-e-meno-livore/773059/) mette in evidenza il fenomeno di cui stiamo parlando. Questa raccolta di canzoni sparse, accomunate dal fatto di mettere in luce e risaltare quella tristezza, passeggera ma opprimente, che l’estate trascina con sé, ci ricordano di tutte le volte in cui ci siamo trovati sotto l’ombrellone e sentiti solamente vuoti.

La Summertime Sadness, messa in musica da Lana del Rey, è ben diversa dall’irritazione che sorge quando siamo in spiaggia e un bambino maldestro ci colpisce col pallone o da quella di quando il costume si riempie di sabbia nei momenti più inopportuni. Non è quella serie di peripezie di cui è vittima Brusco in Sotto i raggi del sole, ma qualcosa di più profondo.

Stiamo parlando di un senso di vuoto che ci pervade quando la nostra vita non ha più uno scopo, quando abbiamo abbastanza tempo per non fare niente e quindi ci perdiamo ad ascoltare noi stessi. É il sapere che i tormentoni estivi fanno da anestetico, ma non curano. Che la luce del sole scalda, ma brucia anche. Che tutte le nuove amicizie e i nuovi amori non possono durare se non il tempo mistico di qualche mese.

É una forma di dolore tacita e profonda che tutti sperimentano, ma che i più sono in grado di celare al mondo e a sé stessi. Un tipo di infelicità che fa capolino tra un sentiero di montagna e l’altro, tra le strade di nuove città o coi piedi a mollo nell’acqua salata e che, a spegnerla, si rischia di perdersi qualcosa della strana profondità che contiene.

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Il pendolo di Schopenhauer

Arthur Schopenhauer è il filosofo che meglio permette di spiegare questa situazione paradossale per cui, nonostante tutto l’anno aspettiamo con euforia l’estate, quando questa arriva siamo sempre frustrati. Nel suo libro più celebre, Il mondo come volontà e rappresentazione (1818), troviamo una delle intuizioni più brillanti della filosofia per quanto riguarda la natura umana. Troviamo scritto:

[…] la sua vita oscilla, come un pendolo, fra il dolore e la noia, suoi due costitutivi essenziali. Donde lo stranissimo fatto che gli uomini, ricacciati nell’inferno dolori e supplizi, non trovarono altro che restasse, per il cielo, niente all’infuori della noia.

Già da questa sola frase si intuisce quanto la visione di Schopenhauer sia pessimistica, tanto che queste sue riflessioni sono considerate dagli studiosi uno dei maggiori punti di contatto con le teorie leopardiane.

La vita è penetrata dalla volontà, dalla sempre crescente necessità di ottenere qualcosa che non si ha. Dunque, l’uomo appare costituito dal proprio vuoto e dalle proprie mancanze e, quindi, dal dolore di avere sempre qualcosa che gli manca. Proprio perchè l’uomo desidera sempre qualcosa che non ha, è immensamente e assolutamente triste. Tutto il creato è vittima della stessa sofferenza, ma, proprio perchè l’uomo è anche dotato di razionalità, percepisce il proprio sconforto più di altri esseri.

Eppure, accade talvolta che appaghi uno dei propri desideri e ponga, seppur solo in via temporanea, fine al dolore. La felicità dura un istante ed è subito sovrastata dall’infinità di bisogni insoddisfatti. Un nuovo sentimento si palesa: la noia. Il tedio non è altro se non una cessazione momentanea del dolore, una specie di palliativo che non risana la ferita. L’umanità è divisa tra un dolore, che la trafigge sempre e a cui tenta di sfuggire, e la noia, che avanza quando l’infelicità tramonta per un po’.

Noia invernale, dolore estivo

Ecco, quindi, che ci alziamo la mattina per andare al lavoro o a scuola, ci troviamo passatempi infiniti per contrastrare il nostro dolore. In inverno, siamo vittime consapevoli della noia e, seppure la sofferenza ci rende schiavi per tutta la vita, abbiamo imparato innumerevoli strategie per ignorarla e metterla a tacere. Ricorriamo alla routine, ad attività che si ripetono ogni volta identiche, a giornate tutte uguali, per scampare alla nostra tristezza.

Nel mentre, non possiamo far altro che dirci che, quando arriverà l’estate, saremo finalmente liberi dal senso di oppressione e di tedio che la vita invernale ci comanda. Ci illudiamo che allo sconforto una fine ci sia. L’estate arriva, però, sempre in maniera improvvisa e noi ne siamo travolti. Per un po’, non si può negare che siamo schopenhauerianamente felici: ci sentiamo liberi di soddisfare tutti i nostri desideri e di fare ciò che vogliamo. Di ballare tutta la notte, di andare al mare o in montagna, di leggere la pila di libri che attende impaziente sul comodino.

Ma eccolo il dolore, che arriva proprio mentre stai mangiando un gelato coi tuoi amici, mentre fissi l’alba in spiaggia, mentre balli in discoteca. Il dolore arriva perchè fa parte di noi e perchè l’estate, in fin dei conti, è sua alleata. Perchè è proprio in questo periodo dell’anno che non avrai nulla da fare, che la tua vita non avrà uno scopo, che ti perderai nel mare di infinite possibilità che il tempo libero presuppone.

Allora lo sentirai. Proverai quel dolore cieco di non aver fatto nulla di nuovo nemmeno quest’anno, di essere in compagnia del solito vecchio te anche se circondato da centinaia di persone, di essere inutile agli occhi del mondo. Proverai la necessità e il desiderio di fare cose nuove e inusuali, pur sapendo che la stanchezza te lo impedirà.

Per finire, proverai nostalgia della tua stessa noia. Perchè, sotto sotto, ogni carcerato si innamora della propria propria prigione e perchè nel tedio non si può star bene, ma nemmeno male. Non vedrai l’ora di tornare in ufficio o tra i banchi, per dire ad amici e colleghi che la Sardegna è bellissima, che sei stato benissimo e che anche loro devono proprio andarci. Perchè la felicità non si trova da nessuna parte se non nei racconti che facciamo delle nostre vacanze e in qualche fotografia rivista ad anni di distanza.

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